Ci sono voluti due film (facciamo tre se contiamo anche quel poco convincente de Il Club), ma alla fine Pablo Larraìn ce la fatta a conquistarmi.
Ci voleva un Gael Garcia Bernal, o ci voleva una storia dal respiro più ampio, meno stretta attorno ad un personaggio squallido.
Dopo aver raccontato l'inizio del regime di Pinochet attraverso l'uomo che si ritrovò ad assistere all'autopsia di Allende (Post Mortem), dopo averne raccontato gli anni più bui attraverso omicidi senza coscienza e fantasie in cui rifugiarsi (Tony Manero), il regista decide di raccontare la fine di quella dittatura, attraverso quel referendum, imposto a forza dall'esterno, che vide il partito del No avere la meglio.
Per farlo, si concentra ancora una volta sul singolo, in particolare sul giovane pubblicitario René Saavedra (ispirato ad Eugenio García), rientrato da poco in Cile, che gli anni più duri li ha solo sfiorati.
E forse sta qui la scommessa vincente dei partiti "comunisti" che puntarono su di lui per quei miseri 15 minuti concessi dal regime per fare propaganda televisiva: facile puntare il dito contro i soprusi, gli assassini, le sparizioni, facile puntare il dito contro un dittatore, ma come lo si batte?
Non con i drammi, non con la paura che tutti questi ricordi possono riportare a galla.
Lo si batte con un arcobaleno, con motivetti facili, piccoli tormentoni, e immagini stucchevoli ma piene di speranza.
Lo si batte con la forza del linguaggio pubblicitario.
Sembra una campagna suicida quella che René imbastisce, soprattutto se a sabotarla c'è il partito del Si, che ne imita lo stile, lo ridicolizza, in televisione, mentre sorveglia e spaventa fuori, con appostamenti e neanche troppe velate minacce a René e a suo figlio.
Tra pubblico e privato, tra generale e singolo, Larraìn compone un film che finalmente sa entrare nel cuore dello spettatore mettendo da parte pure lui la freddezza, lo squallore.
Aggiungendoci quel po' di amore, quello sguardo e quella sete di vittoria, di cambiamento, riesce a conquistare anche chi, come me, era ormai diffidente rispetto al suo successo.
Il compromesso non si sente, viene raccontata una storia poco conosciuta, il dietro alle quinte di un cambiamento davvero epocale.
E la si racconta con uno stile unico, che va a ripescare colori, modalità e formati di quel 1988, in modo da poter inserire senza troppi distacchi filmati di repertorio, con la macchina da presa che segue i suoi protagonisti, e con una sceneggiatura di facile accesso e di facile successo, non a caso adattata dall'opera teatrale El Plebiscito di Antonio Skármeta.
Come un nuovo Don Draper, René difficilmente cede alla vecchia scuola, o cede di fronte alle pressioni politiche del suo gruppo, portando a un successo inaspettato.
Gael è come sempre bravissimo e bellissimo, e pur essendo messicano doc si mette alla perfezione nei panni cileni, mentre al solito onnipresente Alfredo Castro, tocca il ruolo di un antagonista antipatico e beffardo.
Il sapere il finale, non rovina nessuna sorpresa, la gioia incredula, i festeggiamenti insperati, arrivano davvero come quell'arcobaleno, che brilla dopo una dura tempesta.
Proprio come No, che arriva, e illumina dopo visioni tanto buie.
Regia Pablo Larraín
Sceneggiatura Pedro Peirano
Cast Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers
Il Trailer
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Molto bello questo film, educativo e storicamente importante, ricordo che per due giorni quando lo vidi cantavo sempre la canzone ;)
RispondiEliminaStessa cosa è successa a me, i pubblicitari hanno saputo farlo bene il loro lavoro ;)
EliminaPurtroppo l'avevo perso quando ero uscito. Comunque è bello che esiste ancora una forma di democrazia che si chiama referendum. Dovremmo ricordardelo più spesso quando tocca a noi decidere cosa è meglio per noi...
RispondiEliminaSoprattutto quando i referendum sono così importanti, da far rovesciare una dittatura pluridecennale per dire...
EliminaHo letto tutte e quattro le tue recensioni su Larrain ed ho apprezzato molto il fatto che hai provato ad avvicinarti (ma forse è meglio dire "scontrarti") con un tipo di cinema che, evidentemente (e legittimamente, ci mancherebbe!), non è nelle tue corde.
RispondiEliminaNon è infatti un caso che, dei quattro, "NO" sia quello che ti è piaciuto di più: sappi che per gli estimatori di Larrain (di cui faccio parte da sempre, non lo nascondo) "NO" è il suo film più debole, smaccatamente e dichiaratamente più "commerciale", l'unico in cui sia presente una star internazionale e anche l'unico che banalizza un po' la storia del proprio paese facendolo sembrare (quasi) un film hollywoodiano.
Io invece ho adorato, in senso artistico si capisce, sia "Tony Manero" che "Post Mortem" (visto tra l'altro a Venezia, e ricordo bene l'angoscia - e l'ansia - che pervase la Sala Grande durante l'interminabile sequenza finale), e considero tuttora "El club" il miglior film della stagione: adoro lo sguardo lucidissimo, tragico, volutamente senza fronzoli, di un regista che, a mio avviso, può considerarsi un vero e proprio artefice del nuovo realismo...
Ti chiedi: "Perchè guardare un film che imbruttisce, che fa star male, che già sai sarà pesante?". Beh, questo è esattamente ciò che vuole il regista: creare un contatto quasi "fisico" con il proprio pubblico, farlo partecipe direttamente della storia (in quasi tutti i film di Larrain c'è un uomo - un uomo qualunque - che fa i conti con ciò che accade fuori dalla porta di casa). Poi sta a noi, in base alla nostra sensibilità e ai nostri gusti, decidere se accettare o meno la visione. Capisco benissimo che opere di questo tipo possano risultare ostiche e pesanti, e come ti ripeto trovo legittimo che ci si possa rifiutare di vederle o considerarle di alto livello, però vorrei porre l'accento sul fatto che, a seconda di come si guardano, le caratteristiche che ti fanno "fuggire" da questo cinema ne siano anche i punti di forza.
Questa è la mia opinione, ovviamente. Senza alcun tentativo di persuasione :)
http://solaris-film.blogspot.it/2016/04/il-club.html
Caro Sauro, le tue critiche e le tue opinioni sono sempre ben accette, lo sai, perchè so bene che non sono e non vogliono essere polemiche o verità assolute :)
EliminaIl fatto che di tutta la produzione di Larraìn No sia il mio preferito la dice lunga sul tipo di cinema che mi piace: gli riconosco un impegno civile, un impegno a raccontare in modo non banale, nel singolo e nel particolare, un Paese e un'epoca così difficili come quella del Cile. Purtroppo però per il mio sentire il tutto è davvero respingente: troppo squallido, troppo duro, troppa poca bellezza. Che ovviamente corrisponde a quello vissuto in quegli anni.
Qualcosa quindi i suoi film mi hanno trasmesso, ma non è quel qualcosa che cerco quando mi metto davanti allo schermo, né qualcosa che riuscirei a premiare.
Sono comunque felice di averci provato, di averlo scoperto, e infatti Neruda lo vedrò, un po' di romanticismo, me lo aspetto lì :)