Scrittore ormai famoso, all'apice della carriera, con un sogno: tradurre le gesta di re Artù in un linguaggio moderno, accessibile a tutti.
Il libro, era quello che lo aveva avvicinato al magico mondo dei libri, della lettura solitaria, che aveva formato il suo linguaggio attraverso parole desuete.
L'impresa, chissà perchè mai tentata prima, prevedeva di prendere il testo di Thomas Malory, di rivederlo, sfoltirlo, renderlo attuale.
L'impresa, però, si rivelerà titanica, fatta di anni di attesa, di lavoro incessante, di ricerche sul campo, di viaggi e spedizioni, di tentativi di trovare una nuova struttura, una nuova coesione alle gesta di quei cavalieri.
L'impresa, quindi, verrà abbandonata.
Il testo, rimarrà incompleto, arrivando a coprire solo quel primo bacio tra Lancillotto e Ginevra, lasciando fuori La morte di re Artù, quella Morte con cui il testo di Malory è conosciuto.
Succede allora che quanto fatto da Steinbeck viene pubblicato postumo, a quasi dieci anni dalla sua morte.
Succede che, ai suoi tentativi, alla sua presa di coscienza del materiale che ha sottomano, si assiste senza troppi filtri, prima.
Ma succede che a interessare non sia tanto quello scritto ufficialmente da Steinbeck, quelle avventure, quei tradimenti, quegli intrighi, ma quanto scritto durante il suo periodo di stesura, quella corrispondenza incessante verso la sua agente (Elizabeth Otis) e verso il compagno di viaggi e ricerche (Chase Horton) che compone l'appendice del libro.
Si legge, allora, di un entusiasmo trascinate, di una gioia pura, a cui fanno seguito dubbi, perplessità, malumori.
Nel mentre, piccole o grandi scuse, viaggi alla ricerca del "sentire" geograficamente parlando quanto si andava scrivendo, ricerche su origini, dettagli, parole.
E si entra nella mente dello scrittore, lo si osserva e lo si immagina lavorare, lì, in quella scrivania reclinata nel Somerset, con la campagna inglese a circondarlo, perchè "Le parole inglesi si presentano con più naturalezza alla mente quando i fiori e gli alberi tutto intorno hanno nomi inglesi", si sorride alle sue curiosità, alle sue riflessioni, si ringrazia per quelle perle di saggezza e di genio che descrivono il suo lavoro come il più solitario, sì, ma anche fatto di uscite, di aria respirata, di vita vissuta, di informazioni e immersioni in quel Medioevo di cui si andava scrivendo.
Quel libro, allora, quelle Gesta di Artù, trovato per caso su una bancarella, copia omaggio di chissà chi, quel libro che è rimasto per anni a riposare in libreria, in attesa del suo momento, in attesa di finire gli altri Steinbeck presenti, trova il suo posto ora, in sostituzione di quel La Battaglia che a Venezia sotto la regia di James Franco è diventato In Dubious Battle, troppo fresco, come visione, per ritrovarlo su carta.
Quel libro, allora, fa conoscere un Artù diverso da quanto finora conosciuto, diverso dal simpatico Semola, diverso dall'aitante di Merlin.
E si riscopre un testo crudo, in cui le battaglie sono sanguinolente, i cavalli stramazzano al suolo, i cavalieri si sfidano per un nonnulla, per un onore fanciullesco. In quelle pagine, che da un inizio troppo schematico, troppo veloce, acquistano pian piano corpo, lo si sente, Steinbeck, prendere fiducia nel suo lavoro, crederci di più, permettersi di modificare quanto fatto da Malory, ma tutto si chiude sul più bello.
Quel libro, come detto, ha altro da dire, ha appendici e premesse che sono migliori di capitoli e paragrafi, lettere private che in cui si scopre l'autore, oltre che il libro.
E ci si dispiace per quel tentativo fallito, quell'impresa lasciata a metà, troppo difficile, troppo piena di sfumature da cogliere, ma poi, in quelle lettere si legge questo, e si finisce con il sorridere, comunque soddisfatti:
"Spero proprio di ricavarne il massimo. Quello che ho fatto mi ha dato un senso meraviglioso di felicità. Non so se continuerò a sentirlo nella rilettura. Ma è valsa senz'altro la pena provare una cosa simile."
Non essendo un grande conoscitore né di Steinbeck, né dell'universo di Artù, per quanto sembri interessante mi sa che non è esattamente il libro che può fare al caso mio...
RispondiEliminaLa parte di Artù del libro è quella meno interessante e quella in cui ho più faticato, le lettere di Steinbeck, e la sua premessa, invece, meriterebbero una lettura, tante piccole perle e citazioni da sottolineare ;)
EliminaIl lavoro filologico che c'è dietro mi ha sempre ispirato, però sai che Artù e company non mi hanno mai particolarmente entusiasmato? Anche La spada nella roccia, per dire, zero. Mi ha fatto cambiare idea un'amica scrittrice che tormento, Bianca Marconero, con la serie Albion: la tavola rotonda a cui vorremmo un po' tutti sedere. :)
RispondiEliminaPs. Ti confermo che In una sola persona di Irving è molto bello e scorrevole, ma non so quanto sia calzante il paragone con Middlesex. Fatto sta che ha un'armonia, un senso di libertà, bellissimo.
Qui Artù è poca roba, anche perchè l'aver tradotto solo una parte del libro originale, lascia fuori le parti in cui è più protagonista. Però le lettere di Steinbeck sono meravigliose, leggere la mente e le riflessioni di un poeta senza filtri vale il biglietto ;)
Eliminararamente ho letto del re di Camelot, pur essendo affascinatissima dall'argomento... magari potrei iniziare leggendo proprio questo libro
RispondiEliminaIl problema è che ci si ferma sul più bello, non solo per il tradimento di Ginevra, ma anche per come Steinbeck c'aveva preso gusto con la narrazione... non so se è un buon punto di partenza, rimanendo in sospeso.
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