Le arene estive sono da sempre un ottimo modo per recuperare quei film sfuggiti nella calca invernale.
C'ho scovato tre documentari, italiani, più o meno riusciti:
Fiore Mio
Non solo scrittore, anche regista.
Paolo Cognetti porta la sua poetica sulla montagna e il rispetto per un ambiente sotto minaccia e in cambiamento anche al cinema.
Lo fa con un documentario che inizialmente si fa una semplice domanda: da dove arriva quell'acqua che abbevera la baita in cui si rifugia? E com'è che quest'anno non arriva in modo regolare.
Parte a scalare, parte in quota, affiancato dal fedele Laki, ed è proprio in quota che il racconto cambia vita, come un'ansa del fiume, ci si ritrova a parlare non solo di acqua e da dove sgorga, ma soprattutto della vita in montagna, del suo richiamo, della scelta che è viverci, lavorarci, preservarla e ascoltarla.
Da un rifugio all'altro, incontrando vecchi e nuovi amici, generazioni diverse, Cognetti conversa e lascia spazio alle confessioni e ai ricordi e alle riflessioni di chi vede quello che lo circonda cambiare, ma non è detto che sia sempre in peggio.
Per un ghiacciaio che si scioglie, ci sono piante che nascono.
Se le immagini sono naturalmente (ahah) di una bellezza struggente, aiutato da droni e senza nessun bisogno di effetti speciali, le musiche che fanno da contrappunto sono quelle poetiche e altrettanto struggenti dell'amico Vasco Brondi.
Anche se il centro non sempre c'è, se la naturalezza di interviste e conversazioni qua e là sfugge, gli occhi si riempiono di natura e di un filo di speranza, nonostante tutto.
Tra Natura e Quota
Altro documentario, altra montagna.
Non più quelle valdostane, ma le Alpi Apuane da conoscere in compagnia di Giovanni Storti, che fuori dal trio è un appassionato scalatore e impallinato ecologista.
I registi Manuel Zarpellon e Giorgia Lorenzato si affidano a lui per mostrare un'altra montagna che sta cambiando, svuotata dalle cave di marmo, ma che richiede rispetto e attenzione per l'ecosistema unico che la compone e per le ferrata più antica d'Italia che lì si trova.
Anche qui, il problema è lo stesso ma ha un peso maggiore: si cambia obiettivo di racconto in corsa, si perde in efficacia, dopo una prima parte molto didattica che racconta le Apuane, il loro ecosistema ma anche i compiti che si prefigge il CAI con continue linee guide per arrivare in montagna, si passa a un diario di viaggio per una scalata di due giorni il cui montaggio non è sempre puntuale.
Spiace anche per Giovanni, con una comicità non sempre brillante per non dire imbarazzante, ma si apprezzano più le immagini, naturalmente (ahah) stupende per una regione che vien voglia di scoprire.
Duse - The Greatest
Prima di vedere in concorso a Venezia la biografia diretta da Pietro Marcello e interpretata da Valeria Bruni Tedeschi, mi informo grazie a un documentario realizzato da Sonia Bergamasco che finisce proprio con l'intervista all'attrice e a come si è preparata per il ruolo.
Il centenario dalla sua morte passato da poco è ricco di festeggiamenti per un'attrice che ha plasmato il ruolo dell'attore e che noi generazioni lontane ricordiamo più per i patimenti d'amore d'annunziani.
Il documentario tralascia, come avrebbe voluto, la sua sfera privata, per scandagliare la Duse attrice, cercando le testimonianze ormai indirette di chi l'ha vista calcare il palcoscenico e intervistando storici e ricercatori, che ne analizzano i gesti, le interpretazioni, con solo quell'unico film muto arrivato fino a noi, Cenere, del 1904.
È quasi un diario privato di un'ossessione, quella di un'attrice che guarda ad un'altra attrice, ritenuta la più grande ma anche la più sfuggente.
Cercando di dar vita alle sue parole e alle sue lettere, Bergmasco si fa sperimentale, chiamando giovani attrici e ricercatrici a parlarne, a confrontarsi, in un documentario solo a tratti storico, che vive per quell'ossessione.
Il risultato è altalenante, con una passione non facile da condividere ma a voglia di saperne di più e di scoprire una Duse diversa a Venezia.
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