Di nuovo a Venezia, per il quinto anno consecutivo, di nuovo a sconvolgere questo spazio tra orari e pubblicazioni multiple per coprire il più possibile i film in programma.
Si parte, come sempre, con il film d'apertura, che da qualche anno a questa parte -Birdman, Gravity, La La Land- ha significato grandi emozioni e pure parecchie statuette.
Andrà così anche per l'ultimo film di Alexander Payne?
Difficile dirlo.
Downsizing è infatti un po' commedia, un po' dramma su cui riflettere, un po' fa ridere -diciamo pure un bel po'- ma mostra anche un futuro che è in realtà prossimo e il nostro presente, in cui sotto un'altra chiave si cerca di capire quanto ci sta accadendo.
L'idea è geniale: per risolvere i problemi ambientali, per inquinare meno, ma pure per essere più ricchi, viene data la possibilità a umani e animali di essere rimpiccioliti, trasferiti poi in città ad hoc, dove con i risparmi della passata vita da Big, si può vivere come pascià. La tentazione è alta, soprattutto per un mezzo fallito come Paul e la moglie, che ancora abitano nella stessa casa in cui lui è cresciuto, che altro non si possono permettere.
Succede però che lei, all'ultimo, cambi idea, succede che lui, ormai rimpicciolito e con i costi del divorzio a bucargli le tasche, non possa più permettersi la vita da nababbo che credeva, succede poi -più in grande- che il processo di rimpicciolimento venga usato nel mondo nei peggiori dei modi, e non sembri servire comunque a salvarlo, quel mondo.
Raccontato l'ormai passato di Paul, scoperto ogni dettagli del processo di rimpicciolimento, parte così una nuova vita per Paul, con la complicità di un vicino losco ma buono, e l'arrivo di una donna delle pulizie, in realtà rifugiata vietnamita, dal grande cuore.
Poco sembra cambiato, così, in questo nuovo mondo, con la divisione netta tra ricchi e poveri, con le solite dinamiche e modalità di relazione che entrano in gioco.
Ed è qui che si perde un po' di smalto, che Payne procede con qualche cliché di troppo, con qualche buonismo eccessivo.
Il messaggio è comunque di quelli forti e di quelli giusti da declamare, e serve a far aprire un altro po' gli occhi su di noi e su quello che ci sta attorno.
Matt Damon, appesantito e goffo, è il perfetto uomo medio, e riesce a convincere anche un Christoph Waltz che sì, gigioneggia come Christoph Waltz ma in modo meno fastidioso del solito.
Da sottolineare la colonna sonora che crea leggerezza e simpatia composta da Rolfe Kent, e da soffermarsi infine sulla regia sicura, a tratti geometrica, capace di ben gestire gli effetti speciali, di Payne stesso, che dà comunque il meglio di sé in fase di sceneggiatura, con frasi e dialoghi già cult (vedi gli 8 modi per scopare degli americani).
I dubbi, allora, dopo tutti questi pregi, sono sul difettoso finale e su una terza parte sicuramente appesantita dai 135 minuti di durata.
Un po' eccessivo per un film che venera e glorifica l'essere piccoli.
Quest'anno, per quest'apertura, almeno, ti invidio un po' meno del solito (ti maledicevo per La La Land).
RispondiEliminaDi Payne mi ha convinto al cento per cento soltanto Nebraska, complice il b/n e i vecchietti. Qui, tra gli antipaticissimi Waltz e Damon e un tema che ispira sì e no, vedrò quando sarà senza ansie.
Non é il miglior Payne, non é quello delle piccole storie nonostante i piccoli protagonisti. Sfoltito un po' e pensato meglio nella sua evoluzione, poteva essere davvero un colpaccio.. E invece... Senza ansie, si.
EliminaFare meglio di La La Land e Birdman la vedo un po' difficile se non impossibile...
RispondiEliminaFare meglio di Gravity invece, almeno a livello qualitativo, mi sembra impresa ampiamente alla portata di Alexander Payne. :)
Anche se il buonismo della parte finale di cui parli un pochetto mi preoccupa.
Comunque, buon Festival!
Grazie :) il buonismo é proprio quello che irriterà ancor più il tuo cuore di pietra, già lo so. Il resto, potresti anche apprezzarlo.
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