19 maggio 2018

Dogman

Andiamo al Cinema

Un quartiere sporco e squallido che sembra un set western sul lungomare di periferia.
Un presente che sembra un passato di crisi e di povertà generale, nonostante i viaggi, i sogni.
Un protagonista che fisicamente protagonista non potrebbe essere, e nemmeno caratterialmente: troppo buono, troppo ingenuo, troppo debole, Marcello.
Ma, come tutto, è solo una faccia della medaglia.



Marcello, infatti, spaccia, è un padre amorevole, è un dogsitter e un amante dei cani attento e onesto, ma nasconde cocaina nei suoi cassetti, non disdegna di usarla, non sa dire di no.
A Simone, soprattutto, il doppio di lui, lui sì protagonista, lui sì capace di stagliarsi. Incute timore, pretende rispetto, mina vagante e impazzita all'interno della tranquilla vita di periferia, con la droga ad aizzarlo, con le rapine facili ad essere il suo modo per vivere e sopravvivere.
Lo ammira e lo teme, Marcello, vorrebbe tenergli testa, vorrebbe evitarlo, ma finisce sempre per salvarlo, per essergli amico. Nonostante la paura, nonostante quel quartiere voglia fermarlo una volta per tutte, Simone.


Dogman è continua contraddizione, un continuo mescolarsi fra opposti: il bello e il brutto, il buono e il cattivo, ieri e oggi, la verità e la finzione.
Dogman è solo in parte una ricostruzione di quanto avvenuto alla Magliana nel 1988, con Er Canaro a seviziare per ore l'aspirante pugile Giancarlo Ricci.
Dogman parte da lì, e diventa altro, non soffermandosi su quelle ore morbose, anzi, diventando invece il ritratto di un uomo che cambia, della sua innocenza e ingenuità -per quanto già macchiata- portata al limite, con quel limite superato ma quasi giustificato.
Non ci sarebbe Dogman senza Marcello Fonte, la sua figura, con quella fisionomia strana che ricorre per tutto il film (per ogni personaggio, in realtà), la sua voce, e soprattutto il suo sguardo, smarrito, intimorito, padrone di sé, fiero ma che a poco a poco realizza quanto fatto. Il finale, tutto metaforicamente e non, sulle sue spalle, vale da solo il costo del biglietto.
Il resto lo fa un Garrone sporco e impegnativo, dai toni grigi e umidi, che inquadra scene subito iconiche, inquadra gli ultimi e le loro ossessioni come già ne L'imbalsamatore, li rende protagonisti, sporca la favola e rende più vero quello che sembra un set, e ci fa sentire tutto quello sporco, tutta quella cattiveria, tutta quella violenza. Una violenza che nonostante la vicenda vera da cui si parte, è psicologica, è di quelle che prendono alla gola, attanagliano, e fanno soffocare.
È il bullismo, è il sentirsi in trappola, finendo così per fare il tifo per Marcello, per capire quelli che erano i suoi amici con piani non meno definitivi dei suoi.
Ci si sporca con lui, con loro, si diventa colpevoli allo stesso modo, innocenti costretti alla difesa, all'attacco, visto come questo si giustifica.
I cani, qui, abbaiano e non mordono, si fanno belli, aspettano con pazienza il cibo e il loro padrone.
Il padrone, invece, diventa quel cane, diventa quello che morde la mano che lo nutre e che fissa, in attesa di approvazione.

Voto: ☕☕/5



6 commenti:

  1. Anche nella realtà di oggi dietro a insospettabili lavoratori (e a volte padri di famiglia) si nascondono spacciatori o anche "mostri". Non conoscevo la vicenda che ha ispirato il film, non immaginavo un episodio così splatter.

    E sono rimasto sorpreso anche dalle polemiche giudiziarie che ha sollevato questo film

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    1. Il caso reale non lo conoscevo, ma per fortuna Garrone si tiene distante dai dettagli splatter, e mostra una violenza molto più psicologica, che fa altrettanto male.

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  2. Visto ieri. Lo immaginavo molto più pesante, molto più scomodo, molto più indigesto. Invece l'ho trovato squallido ma stranamente dolce, come un 'Uomini e topi' di provincia: Fonte ha uno sguardo che mamma mia, piccolo e bruttino come gli attori del neorealismo, ma Pesce (che eppure ha fatto robe come i Cesaroni, per dire) è una belva irriconoscibile. E poi c'è la cura per i cani e per la figlia, la favola (dalla provincia immaginaria all'espediente alla Hansel e Gretel)... Insomma, a Cannes si tifa Italia, e non per campanilismo.

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    1. Di Fonte ho adorato soprattutto la voce, quello strano timbro, quell'ammmore che sa essere dolce e vendicativo. Che sorpresa, che bella vittoria la sua!

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  3. Mi sa di troppo canino per i miei gusti, comunque staremo a vedere...

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    1. Meno cani e meno canaro del previsto, molta più vita marcia, invece. Staremo a vedere sì, che io mi sarò fordizzata, ma tu eviti confronti importanti e non ti fidi ;)

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