10 maggio 2022

Pachinko

Mondo Serial

Qualcosa, finalmente, si muove.
L'America esce dai suoi confini, accettato l'inglese come lingua non primaria, superata la barriera di 1 pollice a fondo dello schermo.
Quello, insomma, che auspicava Bong Joon-ho con la vittoria agli Oscar del suo Parasite e quello che la vittoria storica di un film non in lingua inglese sembrava sancire.
Merito dello streaming, ovviamente.
Della condivisione e della produzione decentralizzata, di cataloghi da arricchire e di mercati a cui attingere.
Dopo il successo di altre serie TV dal linguaggio ibrido -da Narcos a Squid Game passando ahimè anche per La Casa di Carta- arriva Pachinko.


Arriva un produzione multipla, un linguaggio ancor più ricco, in cui si è in Corea del Sud, in Giappone, in America.
In cui il coreano si mescola al giapponese e infine all'inglese, raccontando una storia lunga più di mezzo secolo e tre generazioni.
Si parte dal 1915, dalla Corea occupata dai Giapponesi, da quelle pagine di storia fatte di vessazioni, povertà e razzismo che nella nostra scuola occidentale nemmeno affrontiamo.
E si arriva al 1989, alla bolla economica che in Giappone crea fermento e investimenti, a cui riescono a partecipare anche gli immigrati coreani, se però hanno un'istruzione americana alle spalle a dar loro man forte.


Si parla di amori proibiti e matrimoni felici in terre infelici, di occupazioni da subire e di difficile integrazione, di padri da accontentare, madri da aiutare, mariti da sostenere e nonne da capire.
La protagonista è sì, Kim Sunja che vediamo bambina e poi adulta e infine anziana senza patria, ma è anche Solomon Baek, che cerca di muoversi in un mondo di squali della finanza.
Li vediamo stringersi e rinnegare la loro origine, cercare il loro posto nel mondo, osservare un mondo che non li accetta e di cui non si sentono parte.
In questo passare da una generazione e da un anno all'altro, però, non tutto per me funziona.


Certo, il budget altissimo è ben sfruttato (tra ricostruzioni e fotografia preziose) e le emozioni non mancano, ma resta un piano confuso a partire dal titolo, da quel gioco che è il Pachinko che non viene spiegato (non ancora, almeno), con personaggi secondari che non vengono approfonditi, con forse troppa carne al fuoco a cui la seconda stagione già confermata potrà rimediare.
Per ora, si apprezza più il passato remoto che quello recente, se non per le parti dedicate a Youn Yuh-jung che spezza il cuore nella sua dedizione al cibo, alla famiglia, ai ricordi. Si viene colpiti da quello che immigrare significa davvero (anche grazie alla interviste finali in cui commuoversi è inevitabile), con l'episodio numero 7 dedicato a sogni infranti da scosse di terremoto ad essere il più emotivo e a rendere anche il "cattivo" della situazione, una figura con spessore.


Il fascino innegabile dei protagonisti, della colonna sonora e della sigla, ne hanno già fatto un caso.
Sensazionalismi a parte, però, spero si trovi un equilibrio di racconto, una struttura più solida in cui muovere la Storia e le storie, per appassionare appieno.

Voto: ☕☕½/5

4 commenti:

  1. Mi aspettavo un parere meno tiepido, ma è da recuperare. Meno male che l'estate è vicina!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ci sono tante di quelle serie da recuperare che comunque mi manca il tempo. Mi aspettavo più coinvolgimento da questa, ma forse è solo il mio sguardo poco abituato alle storie orientali ad essere rimasto fuori.

      Elimina
  2. Serie a tratti splendida, a tratti purtroppo un po' noiosa.
    Anche per me nel complesso è così così, la sigla però è fighissima!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi aspettavo di più, anche se aspettarmi una nuova famiglia Pearson era chiedere troppo. Di materiale per andare avanti ce n'è, staremo a vedere.

      Elimina