29 gennaio 2024

Il Lunedì Leggo - Il Re Pallido di D. F. Wallace

Per l'ultimo romanzo di David Foster Wallace mi sono presa il mio tempo 
Potrei dire qualche mese, un paio almeno perché mi sono intestardita nel volerlo leggere in inglese e non è certo quello che hai voglia di fare dopo una lunga giornata di lavoro.
In realtà, sarebbe giusto dire 13 anni, quando Il Re Pallido è uscito incompiuto, la libreria della stazione di Padova lo esponeva in vetrina e io mi sono interessata a lui.
A uno scrittore definito geniale, unico, che aveva deciso di andarsene presto. Troppo presto.
Lasciando un lavoro al quale lavorava da 12 anni lì, in attesa di essere ritrovato dalla moglie, messo insieme, snellito e ordinato dal suo editore.
Per quella fissa tipica dei lettori, il suo ultimo romanzo l'ho lasciato per ultimo.
Mi sono letta il primo, folgorante, mi sono letta i saggi sul tennis, i viaggi in crociera, addentrandomi nel mondo della filosofia e della matematica per amore della sua scrittura. Di uno stile che invidio e che non è imitabile.
Fino ad arrivare alla fine di quanto disponibile, mancano solo le interviste, la biografia. Ed era lì che mi aspettava questo Re Pallido.


Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori se la cosa brutta non avesse preso il sopravvento dei suoi pensieri.
Dagli appunti, dalle note che si trovano nelle ultime pagine, queste 700 sembrano appena un terzo del suo progetto, con molto ancora da approfondire e un certo senso da dare.
Ne sarebbe uscita una storia di persone dai poteri particolari?
Ne sarebbe uscito un mistero con David Foster Wallace stesso a sparire nel romanzo?
Chi lo sa.
Quello che so è che si parla di tasse.
Sì, tasse.
E di chi per l'IRS, l'agenzia delle entrate americana, lavora.
Negli uffici di Peoria, per la precisione.
Compreso DFW che entra nel romanzo, parla a noi in un paradosso difficile da decriptare, lui che espulso dal college si ritrova a lavorare per l'IRS, venendo confuso con un altro David Wallace di rango superiore.
C'è lui, certo, ma ci sono altri personaggi particolari, i cui poteri poco speciali (venire inondati di fatti irrilevanti su persone, date o cose, lievitare se concentrati) chissà come sarebbero stati sfruttati.


Mi sono chiesta spesso se leggere un romanzo intero in inglese che parla di tasse era troppo, perdendomi qua e là e se la colpa fosse della mia impreparazione o semplicemente perché ci si doveva perdere.
Ci sono capitoli brevissimi, che sono elenchi, ce ne sono altri lunghissimi che sono una lunghissima (ma lunga davvero, un 200 pagine facciamo) risposta alla domanda "cosa ti ha portato a lavorare per l'IRS", che comprende un trauma, delle scelte, una morte e un errore di palazzo. O una confessione a lume di birra su un matrimonio infelice e un passato altrettanto triste che ribalta il modo di vedere la donna più bella dell'ufficio e il dipendente silenzioso, probabilmente autistico.
E che dire di chi si annoia così tanto da cercare l'origine della parola Bored?
Parli di tasse, parli di genio, e il pensiero è andato spesso ai Daniels e al loro film da Oscar Everything Everywhere all at once, anche lì da una semplice revisione ne nasceva qualcosa di così assurdo che viene da chiedersi se i registi lo conoscevano questo Re Pallido.
Google non ha saputo darmi una risposta, ma altri critici americani hanno avuto il mio pensiero, e l'archivio fra le cose di cui essere felice.


Ci si perde, non si capisce subito se un nesso c'è o se era previsto, ma si gode ancora una volta della capacità di DFW di divertire anche quando si parla di tasse, di risultare geniale nel raccontare di colleghi e vita d'ufficio, presentando tanti personaggi quante storie. Facendo così di questo romanzo incompiuto che chissà come si sarebbe sviluppato, un romanzo di racconti.
Lo saluto così, DFW. 
Felice di aver portato a casa quella che mi è sembrata un'impresa che ha il sapore amaro di quando finiscono le cose belle. E importanti.
Lo posso ritrovare, ancora e ancora, nelle sue pagine. 

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