10 agosto 2020

Il Lunedì Leggo - Di Carne e di Nulla di David Foster Wallace

[Segue l'introduzione che faccio ormai ogni anno in questo periodo, quando arriva il momento di leggere una raccolta di DFW]

Quando ho scoperto DFW è stata una folgorazione.
Ero al primo anno della magistrale, La scopa del sistema lo avevo preso sotto consiglio di un amico e subito avevo deciso di lanciarmi su Infinite Jest.
Non un'esitazione nonostante la sua mole ma solo la voglia di scoprire il suo genio al massimo.
Quello stesso anno era uscito il suo ultimo romanzo, postumo e incompiuto, e l'idea di avere così poco tempo da passare ancora insieme a lui mi ha fatto rallentare il passo: se un solo altro romanzo dovevo avere, il resto dei racconti, dei saggi, dei reportage, lo avrei accolto lentamente.
Uno l'anno.
Per finire con quel Re Pallido e quell'intervista di David Lipsky trasformata in quel bellissimo film che è The end of the tour.
Mica lo sapevo però che si sarebbe continuato a pubblicare DFW, che in Italia ma pure in America avrebbero setacciato ogni più piccolo articolo, recensione, intervista o critica scritta su un qualunque argomento, anche il meno interessante per un non esperto di -chessò- matematica? linguistica?
Ma tant'è, che DFW venda, che abbia la sua cerchia di fedeli di cui faccio parte giustifica queste nuove raccolte. E così in un anno in cui volevo che da bianca mi fosse finalmente spiegato il rap, mi sono ritrovata invece a leggere Di carne e di nulla.
Tredici saggi, tre interviste.
Solo uno non l'ho letto, quello dedicato a Wittgenstein's Mistress di David Markson che già grazie ai Cinque romanzi americani spaventosamente sottovalutati > 1960 avevo deciso di scovare e di leggere e nel vedere che l'edizione italiana pubblicata da Edizioni Clichy prevede incorporata la sua analisi, non mi sono fatta problemi a saltarlo.



Certo, Borges sul lettino non è così fruibile/interessante, ma il suo genio brilla sempre, anche quando ci parla di Terminator 2, delle pretese di Schwarzy l'attore, della forza che James Cameron con Ellen Ripley e con Sarah Connor poi ha saputo dare ai film d'azione con due donne protagoniste (L'importanza -per così dire- seminale di Terminator 2).
C'è del genio anche nell'analisi di parole che uno scrittore dovrebbe evitare per non sembrare un cretino pieno di sé o che potrebbe usare con arguzia visto il suono che hanno, in una lezione di scrittura da tenere bene in mente (Notazioni su ventiquattro parole).
C'è del genio nel parlare di romanzi matematici, che anche se non si avrà mai l'intenzione di leggere, anche se fanno parte di un genere fortunatamente esauritosi, suscitano il suo interesse -in quanto laureato in filosofia della matematica- con critiche che li demoliscono, e in parte li salvano (La retorica e il melodramma matematico) o di quella nuova ventata di giovani scrittori di cui fa parte Bret Easton Ellis e della bolla che stanno creando hanno creato in cui finiscono dentro bravi e non bravi ma con solo i primi resistere (Futuri narrativi e i Vistosamente giovani).
C'è del genio nell'introduzione a un'Antologia di saggi che lui ha scelto per conto della The Best American Essay in cui svela come e perché questi sono stati scelti: sa di non essere letto in quanto semplice introduzione, ma anche di essere il nome su cui la TBAE ha puntato per vendere e attirare lettori (Decisorizzazione 2007 - un resoconto particolare).

Ma la verità è che il vero pregio di questa raccolta sta tutto nell'inizio e nel finale.
In uno scritto che parla del blocco dello scrittore, di come le idee vengono, portano ad ansie, a crisi, per poi esplodere. Di come la carriera di uno scrittore passi per fasi in cui si scrive per sé, per il proprio ego e infine per compiacere quei lettori che apprezzano il proprio ego finendo in uno strano circolo. Un'analisi schietta e sincera, profonda e divertente che non a caso s'intitola La natura del divertimento.
E infine, in un'intervista che Gus Van Sant ha fatto a DFW con l'idea di riuscire -come, sono curiosissima di saperlo- ad adattare il suo Infinite Jest ma che si è rivelata un'intervista vicendevole, con DFW interessato a come Will Hunting è stato scritto, progettato, da dove sono saltati fuori quei problemi che Will ha dovuto risolvere e di come due pischelli come Matt Damon e Ben Affleck se ne sono usciti a 20 anni circa con una sceneggiatura così profonda da provocare la sua invidia. Li sentiamo rispondersi, sentiamo David elogiare quel tomentoso di Robin Williams, quel fuoriclasse di Stellan Skarsgård, lo sentiamo chiedere e zittire i suoi cani in un'intervista in cui volutamente GVS non ha eliminato i rumori di fondo, le interferenze e i silenzi.

Scritti così, contributi che danno un senso a un'intera raccolta, rendono più facile il fatto di rimandare di un altro anno e di un altro ancora il saluto a DFW.
Di vedere quel Re sempre più pallido nel mio orizzonte.
In fondo, se in mezzo a tutta questa terra una pepita d'oro c'è, giustifica la sua pubblicazione.

"E niente è cambiato sul perché gli scrittori che non lo fanno per soldi scrivano: 
è arte, e l'arte è significato, e il significato è potere: 
il potere di colorare i gatti, di mettere ordine nel caos, 
di trasformare il vuoto in terreno solido e il debito in tesoro."

2 commenti:

  1. E questo non me lo posso perdere... e grazie a te!

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    1. Prego, non tutti sono allo stesso livello, ma ci sono pezzi che giustificano l'acquisto.

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