Che gli inglesi ci sappiano fare è diventato un po' il mantra di questo blog. E più si va avanti a vedere film o serie TV della terra di Albione, più questa teoria viene comprovata.
Still Life ne è l'ennesimo esempio, e sebbene alla regia ci sia il nome di Uberto Pasolini, la sua composizione british è delle più pure.
Fondamentalmente il film parla di morte e tramite questa, di vita.
John May è infatti un solitario e metodico -o meglio ossessivo- funzionario del comune che si occupa di rintracciare parenti e/o amici delle persone che se vanno sole, in modo da concedere loro un funerale sentito. Non sempre però il suo lavoro di ricerca ha esiti positivi, i barboni, o gattare senza parenti che (non) incontra nelle sue giornate, spesso sono quelle persone che hanno tagliato i ponti con la famiglia, che sono odiati da questa e quindi dimenticati. Ma lui non le dimentica, no, chi resta solo, solo non è, e lo stesso John May organizza per loro la funzione, l'elogio e la musica per poi conservare con cura e con trasporto la loro foto in un album sempre più spesso.
Conferire dignità, questo è in fondo il lavoro di John May.
Fino a che, però, questo suo lavoro non viene tagliato dai fondi del comune, per il quale è troppo lento e dispendioso, lasciandolo così in balia dei cambiamenti a cui con difficoltà si adatta.
Unica concessione: chiudere il suo ultimo caso.
E così, proprio attraverso il passato di Billy Stoke, tra le sue varie famiglie e amici, John riuscirà ad aprirsi agli altri e a mostrare una volta di più la forza e l'importanza del suo lavoro, imparando anche, poco a poco, a cambiare.
Trattare la morte e soprattutto il momento dell'ultimo addio non è certo cosa facile.
Nel passato film come il poetico Departures o il melanconico e a suo modo ironico Restless lo hanno fatto in modo splendido. Qui si va forse oltre, riuscendo a costruire una trama e una realizzazione dai toni delicati e distillati, con la macchina da presa che si sofferma -seguendo lo sguardo di John May- su ciò che rimane di chi se ne va, sui piccoli dettagli di una vita comune che ora non c'è più. La fotografia nitida e ferma, racchiude tutta le bellezza e l'emozione racchiuse negli oggetti più comuni ma anche più personali, simboli di quella persona.
Il tempo si dilata, così, senza però mai diventare pesante, i silenzi sono riflessioni a volte carichi di umorismo, altre di vera e propria commozione che si insinua lentamente per esplodere poi nel finale, un finale di quelli che lasciano il segno, magari un po' intuibile, ma mostrato nella sua scarna e cruda verità con una poesia che fa affiorare tutte le lacrime finora trattenute.
Uberto Pasolini consegna così un film speciale con uno speciale protagonista -interpretato magistralmente da Eddie Marsan (visto anche in Southcliffe) e accompagnato dalla Anna Bates (Joanne Froggatt) di Downton Abbey-, la cui regia è stata giustamente premiata a Venezia nella sezione Orizzonti: una regia geometrica e fissa, stabile e ripetitiva, ma che riserva attimi di vera poesia per una storia che poesia già lo è.
poesia vera, bellissimo
RispondiEliminaDa lacrimoni!
EliminaNe sto leggendo benissimo. Spero di recuperarlo presto.
RispondiEliminaNe vale sicuramente la pena, un antieroe speciale e unico!
EliminaFilm bellissimo e ottima rece.
RispondiEliminaPerfetti i riferimenti a Departures (che credo di aver citato anche io) e a Restless.
Ma non puoi tacere sul finale Lisa!
:)
Grazie! Di film che trattano specificatamente la morte ce ne sono pochi, e che lo fanno così bene forse solo questi due (Restless in modo diverso). Sul finale non ho voluto rovinare la sorpresa a nessuno, un colpo al cuore e una bellezza che deve essere scoperta!
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