Se c'è una cosa che gli inglesi sanno fare bene sono le serie TV.
Se c'è un'altra cosa che sanno fare bene è distillare emozioni, raccontare in pochi frangenti e poche scene i traumi più insuperabili, scavando a fondo nell'animo umano, e come con una sineddoche, farne vedere solo una parte ma che rappresenta il tutto. Il più inenarrabile.
Con Southcliffe, in soli 4 episodi, gli inglesi riescono ancora una volta nell'impresa, mostrandoci il prima e il dopo di una strage che annienta tutta una comunità.
Questa volta nessuna scuola presa di mira, nessun adolescente depresso o frustrato, ma un adulto che ha tutte le carte in regola per essere un killer, che non disdegna e non nasconde i fantomatici "segnali" per quello che poi compirà, lasciando attoniti tutti gli abitanti di quella che si continua a ritenere una comunità unita.
Ma Southcliffe non lo è, non lo è mai stata, e ne sa qualcosa il reporter David Whitehead, preso di mira da ragazzino a causa di un incidente alla centrale dove morirono molti lavoratori, compreso il padre, accusato dell'accaduto. Ma chi ne fa veramente le spese è proprio Stephen Morton, solo e con una madre a carico da accudire, solo e con le sue fantasie militari, incapace di mandar giù il rifiuto dell'esercito alla sua domanda, che viene sbeffeggiato, deriso e usato da chiunque, fino a che non ne può più, fino a che l'urina che gli piove addosso fa traboccare il suo vaso e la sua sanità mentale facendogli compiere la strage che tutto cambierà.
Gli inglesi, però, che sanno fare le serie TV, non si lasciano andare a sentimentalismi o a una facile azione, ma raccontano incastrando alla perfezione la cronologia del prima, facendo coincidere i pezzi e le storie dei vari protagonisti al millesimo di secondo, facendoli incrociare e sfiorare tra loro in un esercizio di stile riuscitissimo. Una volta raccontato questo, gli ultimi due episodi si concentrano sul dopo, sul dolore e sul lutto da affrontare, che a un anno di distanza non ha cessato di pulsare.
E così, anche i più odiosi in questa storia si redimono, con il colpevole che non è più solo Stephen Morton con il suo fucile, ma anche un paese che non l'ha fermato.
Le emozioni si fanno così diradate, distillate nella nebbia che immerge Southcliffe in una perenne uggiosità e trasportate su schermo -piccolo, ma parecchio grande- da attori convincenti e in parte diretti da un Sean Durkin che riprende le atmosfere tese de La fuga di Martha confezionandole in stile british.
Eh, sì, se c'è anche solo una cosa che sanno fare bene gli inglesi, sono proprio le serie TV.
non avevo fatto caso che c'era lo zampino del regista de la fuga di martha, film che avevo parecchio apprezzato...
RispondiEliminae in effetti le atmosfere non sono poi tanto lontane...
Esatto, solo intrise di quel britsh style che le rende ancora più interessanti!
Eliminacome non essere d'accordo su "Sourhcliffe"?
RispondiEliminacon la T, naturalmente:)
RispondiEliminaMi chiedo come si possa non apprezzarlo, infatti :)
EliminaBellissima! ne ho parlato anche da me in termini praticamente entusiastici...
RispondiEliminaE' grazie a te e al cannibale che me la sono recuperata, infatti!
EliminaGrazie :)
Ti ho chiesto da me se l'avevi recensita ma bastava una googlata per trovarla ovviamente :)
RispondiEliminaBravissima Lisa.
Che non si offendano le altre ma secondo me sei la "recensora" più brava, o almeno quella più vicina al mio modo di vedere i film.
Su una cosa però non dissento ma vorrei fare una precisazione.
Southcliffe è una comunità molto unita secondo me.
Ed è proprio da questa unione che nasce l'omertà e il fronte comune verso pochi altri che rimangono fuori.
Il film ci racconta di due "tutti contro 1", insomma, allo stesso tempo presuppone unione e divisione.
Anche te hai parlato del prima e del dopo, mi fa piacere.
Oh, grazie mille, non puoi vedere ma sono arrossita parecchio :) :)
EliminaSull'unità della comunità intendevo proprio questo: seppur unita lascia in disparte e perseguita chi rimane fuori, e quindi paradossalmente è sia unita che divisa, un fronte comune contro pochi reietti che ne fanno le spese ma che poi fanno pagare le conseguenze., con i fatti o con le parole.