6 settembre 2017

Venezia 74 - Sweet Country

Se si é quasi stanchi dei film sui personaggi disastrati, se si é stanchi dei film scolastici a L'attimo fuggente, io personalmente sono anche stanca dei western. Di quelli che poco dicono di nuovo soprattutto, quelli seri e seriosi, polverosi ovviamente, con i loro cliché.
Sweet Country rappresenta tutto questo ovviamente, ma non siamo nelle grandi praterie americane, siamo nel profondo dell'Australia dove gli sfruttati non sono i neri, o gli indiani, ma gli aborigeni.



La sostanza comunque non cambia, c'è il solito uomo bianco di merda (scusate il francesismo) che fa quello che gli pare, che non rispetta gli altri, beve giustificando i suoi demoni con l'inferno affrontato in guerra. Quel bianco, fortunatamente, dopo averci fatto assistere a tutto il menu del suo genere, viene ucciso proprio da un aborigeno, che si dà alla fuga con la moglie, inseguito dalla polizia. Fugge nel deserto, in terre di riserva, finché non si costituisce e qui il film diventa anche un film giuridico con un vero e proprio processo alle porte di un saloon.
In queste tre diverse parti, però, nulla di nuovo ci viene detto o viene evidenziato, con una sceneggiatura che attinge da chissà quanti film, che cerca la differenza nei suoi personaggi buoni. Ma non basta un Sam Neill che si rende conto di come nessun Dio sia all'ascolto, nel mezzo del nulla, non bastano paesaggi mozzafiato e una natura incontaminata a togliere il fiato. Il fiato é pesante, il genere in grado solo in mano a altri nomi di valere ancora qualcosa. Sweet Country é cosi il tappabuchi di questo Festival, il film che si sarebbe trovato benissimo in Orizzonti, ma chissà perche é in concorso, piccolo pesce fuor d'acqua che non si avvale nemmeno della simpatia che solitamente fanno i piccoli pesci.

2 commenti:

  1. Anche a me i western hanno stancato.
    A dirla tutta, mai mi sono piaciuti. Fatta eccezione per Django Unchained.
    Quindi per me non c'è niente di meno sweet di questo film...

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