La perplessità la si abbandona però alle prime note, alle prime scene, in cui gli applausi non possono che invadere la scena: il trash, il kitsch, la neomelodicità di Napoli vanno a braccetto con il musical, e i Manetti con la loro ironia, pure.
Parte allora la storia, quella vera, quella di un boss che per poter vivere in pace, decide grazie alla sua donna -patita di cinema- di fingersi morto. Un suo sosia lo sostituirà in tutto e per tutto nella bara, i suoi affari verrano divisi tra i suoi uomini migliori, lui scapperà in una qualche calda isola con il suo amore.
Un piano perfetto, se non fosse per un'infermiera.
Sì, una semplice donna che lo vede all'ospedale e non dove il telegiornale annuncia di aver trovato il cadavere, un'infermiera che però è una vecchia fiamma del killer incaricato di ucciderla, che cambia così idea, fugge, la nasconde, iniziando così una faida interna che arriva fino all'America.
La malavita, i cliché sui boss, sulla violenza e i raggiri, ci sono tutti, come sempre, come da copione per un film napoletano. Quello che in più c'è, però è anche una buona dose di canzoni orecchiabili quanto basta (irresistibile la cover di What a feeling), folli e assurde il giusto ad interporsi tra una scena e l'altra, a dar voce a sentimenti e pensieri, anche di quei numero due (o tre e quattro) sempre messi da parte.
Il surrealismo che si crea, ha una sua coerenza e soprattutto una sua genialità, data da battute in cui di certo la traduzione non aiuta (e sarà una sorpresa capire il giudizio della stampa estera), irriverentemente interpretate da Claudia Gerini, Gianpaolo Morelli e Carlo Buccirosso, mentre tra le voci spiccano Serena Rossi e Raiz, il leader degli Almanegretta.
Difetti, però, duole ammetterlo, ce ne sono.
Prima di tutto una durata esagerara, che sfora le due ore e che soprattutto quando l'azione e i morti prendono il posto di trama e canzoni, finiscono per pesare più del dovuto.
In secondo luogo, poi, un comparto tecnico che non brilla, fotografia piuttosto scarna e triste, effetti speciali posticci, e non si capisce se per scelta di coerenza verso quel kitsch che si racconta, o se per budget limitato, nel qual caso, sforbiciare la sceneggiatura avrebbe risolto due problemi in una sol volta.
Resta però un tentativo coraggioso e che intrattiene, che diverte soprattutto, mettendo da parte la serietà e la seriosità del Festival, che è sempre un bene.
Saprai che stravedo per i Manetti, da Coliandro a Song'e Napule, quindi non vedo l'ora di vederlo. Ho visto e riso davanti alla clip che scimmiotta Flashdance (quanto è bella e quanto è brava Serena Rossi, la conoscevo come doppiatrice - di Frozen, tra le altre cose - ma sono contento che arrivi al cinema in prima persona) e a quel kitsch, ma anche alla "scarnezza" che rimarchi tu, ci sono tanto affezionato. Poi il tutto in salsa musical.
RispondiEliminaRoba mia.
Io o Manetti li devo recuperare tutti, e dalla prossima settimana mi ci metto d'impegno, promesso. Qui c'è pane per i tuoi denti, anche se qualche lungaggine si poteva evitare.
EliminaNon credo di aver mai visto niente dei Manetti Bros, anche se mi incuriosiscono molto. Questo film in particolare.
RispondiEliminaAnche se il fatto che sia già stato definito Na Na Land mi obbliga a cercare un altro titolo per la mia futura recensione...
Se lo sono definiti da soli, avete già qualcosa in comune :)
EliminaFa tanto Tano da morire di Roberta Torre, peccato che non uscirà da me :(
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