20 novembre 2019

L'Uomo del Labirinto

Andiamo al Cinema

Come si inizia a scrivere di un film che non è proprio piaciuto?
Di cui non si salva niente, dico niente di niente?
Il maestro Ego direbbe che si inizierebbe facendosi una bella risata sarcastica ai danni -in questo caso- di Donato Carrisi, perché si sa che le stroncature sono le più facili da scrivere.
Ma questa volta provo a mettermi nei panni di un investigatore, andando a cercare di capire cosa mai è andato storto nel trasportare da carta a schermo L'uomo del labirinto.

Indizio 1
Un mondo che mondo non è.
Anche nelle interviste, Carrisi c'ha tenuto più volte a sottolineare che la storia investigativa in questione non è ambientata in un luogo preciso, né in un tempo. Potrebbe essere l'America, potrebbe essere il futuro.
Chi lo sa.
Sta di fatto che nel suo cercare di mandare fuori pista, ne viene meno la scenografia e la fanno da padrone effetti speciali posticci, con una città che mescola campagne e paludi di bifolchi a palazzoni e appartamenti futuristici, in un pastrocchio che disorienta in modo poco efficace, distogliendo l'attenzione a quanto succede.



Indizio 2
Quello che succede: che in parole povere è sempre la stessa storia.
Un investigatore stropicciato e tormentato -per di più in fin di vita- che cerca di risolvere quel caso rimasto irrisolto per troppi anni. Ora quella ragazzina scomparsa è stata ritrovata, sono passati 15 anni e il suo rapitore è ancora a piede libero. Si cerca quindi di estrapolarle ricordi e verità.
Che qualcosa non quadri, lo si capisce o lo si ipotizza anche presto.
Non aiutano poi le classiche frasi ad effetto, i ragionamenti stralunati che possono funzionare benissimo su carta, ma appaiono alquanto ridicoli declamati ad alta voce -o dalla solita voce narrante.
Ma sono le indagini e i metodi di quell'investigatore che fanno cilecca.

Indizio 3
Le indagini, ovvero gli indizi e le prove che fanno di per sé un giallo.
E se una storia -quella finale- ha un colpo di scena notevole che salva un minimo il baraccone di Carrisi, le indagini principali di Bruno Genko fanno piuttosto acqua da tutte la parti, con piste seguite per puro caso, computer e conigli che fanno più di Genko stesso.
E vorrei dire: conigli. Davvero conigli?


Indizio 4
Bruno Genko ovvero il cliché vivente degli investigatori.
Ma non è l'unica cosa che non va, perché non vanno la maggior parte dei personaggi di questo film e pure i loro interpreti.
Sono tutti troppo caricaturali e caricati, esagerati nella recitazione.
Se Hoffman lo si giustifica per un montaggio finale che non lo premia e Valentina Bellè è nettamente penalizzata da un doppiaggio che non si può sentire e che rasenta l'insopportabile, Servillo è sempre Servillo.
In questo caso, per me, è un difetto: gigioneggiante, esagerato pure lui, con gesti e tic che danno sui nervi. Sembra di vedere un miscuglio dei suoi personaggi,a partire da Peppino Lo Cicero di 5 è il numero perfetto, con cui divide la stessa anima noir.

Indizio 5
La colonna sonora. Ingombrante e fastidiosa, a rallentare il ritmo di un dialogo, a farsi opprimente nelle scene cardine.

Cosa resta, allora, da salvare?
Se trama, scrittura, personaggi, recitazione e colonna sonora sono tutti indizi di colpevolezza, come si fa a dichiarare innocente Donato Carrisi, soprattutto a fronte di un finale sì al cardiopalma ma che va a premiare i suoi lettori che una certa protagonista la conoscono, lasciando così indietro i non fan*?
Difficile, anzi, impossibile.
Signor Carrisi, signor Uomo del Labirinto, vi dichiaro in arresto per brutto cinema.


*(parola anche di Mr. Ink, che di questo mi ha illuminato e che lui -da lettore- il film lo salva)
Voto: ☕/5

2 commenti:

  1. Non che pensassi di guardarlo, però dopo questa recensione ci posso proprio mettere una pietra sopra. :D

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    1. Mr. Ink ti direbbe di provarci, io non me la sento proprio di consigliarlo a qualcuno!

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