30 agosto 2019

Venezia 76 - 5 è il Numero Perfetto | Il Sindaco del Rione Sanità

Due film che condividono lo stesso tema napoletano e pure la stessa ambientazione. La Malavita, come sempre, protagonista.

5 è il Numero Perfetto



Che sia tratto una graphic novel è ormai cosa nota.
Che sia un film diverso per quanto riguarda il panorama italiano, pure.
Ma rispetto a quello internazionale, meno. Molto meno.
Perchè oltre al pop del fumetto, c’è il pulp di una fotografia nitida e allo stesso tempo buia, in cui il rosso del sangue risalta. E c’è il noir dato dalla voice over dello stesso Servillo a fare da narratore, gli impermeabili che riparano dalla pioggia, e quell’atmosfera fumosa fatta di ricerche e indagini.
Protagonista lui: Peppino Lo Cicero, sicario della malavita, che mai si è fatto domande, sempre ha eseguito gli ordini.
Finché suo figlio, che ha preso la sua strada, non viene ucciso. E Peppino decide di vendicarsi dando vita ad una guerra tra Famiglie.

Tra la Sanità e terrazze sponsorizzate, tra sparatorie e inseguimenti, imboscate e scambi, i morti ammazzati non si contano, le frasi ad effetto di Peppino neppure.
E’ cinema di genere, per quanto nuovo e diverso per un regista italiano al suo esordio (lo stesso fumettista Igort).
Ma è un genere che altrove si è già incontrato e che sempre mi ha vista annoiata e non troppo presa da una storia di vendetta con immancabile colpo di scena finale.
Toni Servillo è sempre lui, in un ruolo che sembra essere scritto per lui, con Valeria Golino donna-spalla che anche con la pistola in mano è semplice ascoltatrice di confessioni e spiegazioni, non ultima quella del titolo.
Va da sé che se c’è chi grida al miracolo, io, sbadigliando, dico: non fa per me.

Il Sindaco del Rione Sanità


Rieccoci lì, a Rione Sanità.
Rieccoci in affari di mala, sparatorie, debiti e vendette da appianare.
Ci pensa un sindaco non eletto, che il potere se l’è preso con le sue mani e tutto dirige dalla tranquillità del Vesuvio.
Si parte con due pischelli che si divertono a spararsi addosso, si passa per interessi che mandano in bancarotta, cani aggressivi e tentativi di fuga, e si arriva ad un padre che non vuole riconoscere il figlio. A questo deve pensare Antonio Barracano in quella che sembra una giornata qualunque.
Personaggio nato dalla penna di Eduardo De Filippo che Mario Martone ha prima portato a teatro e ora al cinema, adattando senza troppi problemi la storia ai giorni nostri, trovando attori teatrali che l’ironia, l’assurdità del calibratissimo testo di De Filippo le fanno sentire un gran bene.
Qua e là si rischia di esagerare tra tic e sbruffonerie, e il limite verso lo scult si avvicina. Ma nelle sue soluzioni, nella sua modernità e nel personaggio a tutto tondo di un boss intelligente -perché uomo capace di fare un passo indietro- com’è quello di Barracano si finisce per applaudire, convinti.
Da un Martone solitamente più severo e in cattedra, questa ventata di leggerezza diversa non ce la si aspettava.

2 commenti:

  1. Mi ispirano entrambi, ché la napoletanità, al cinema, regala sempre belle sorprese.
    Per questioni di distribuzione, avrà la precedenza 5.

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    1. Durante la visione di Martone ti ho pensato, vista Napoli e il teatro presente. Conoscendo i toni di De Filippo si entra meglio, all'inizio avevo più di qualche dubbio.

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