14 febbraio 2020

Harriet

Film da Oscar

Lo si era detto qualche tempo fa per quanto riguardava i film sull'Olocausto.
O fai una scommessa con te stesso e ne parli in modo diverso, originale, o finirai in un calderone fin troppo buonista/melenso senza davvero attirare attenzione su di te e sull'importante tema che hai scelto di rappresentare.
Per fortuna, Jojo Rabbit e Maus avevano scelto di fare diversamente.
La stessa regola la si può applicare ai film sugli anni dello schiavismo in America.
Film importanti, film necessari, film che mettono ancora in luce un problema mai risolto di una nazione che ha le sue colpe.
Ma anche qui, parlarne per il semplice parlarne, essere nominati agli Oscar per il semplice fatto di averne parlato, non fa di certi film dei bei film. Ci vuole la scintilla.
Prendere Oscar recenti, a tal proposito.
Prendere 12 anni schiavo, che puntava sull'effetto realismo, sul farti sentire ogni colpo di frusta, ogni minuto passato appeso ad una corda. Ogni anno di quei 12 anni.
Funzionava?
In parte.
Ma faceva di quel realismo la sua forza.
Prendere poi Django Unchained, che sì era scritto e diretto da un bianco, ma faceva della questione della pelle un argomento tosto, rendendo epiche le imprese di un pistolero, ridicoli i comizi del KKK.
Funzionava?
Eccome.
Ora prendiamo Harriet.



Che vuole raccontare la figura storica, importante e degna di Harriet Tubman, schiava prima, libera poi.
Liberatrice infine di almeno 700 schiavi, portavoce per l'abolizionismo e per il suffragio universale, la prima donna a capo di una spedizione armata..
La sua storia è quella che rende ghiotto ogni produttore di cinema che si rispetti e che giustamente cavalca l'ondata di biopic da una parte, dei temi politici sulla parità di diritti dall'altra.
E quindi, funziona questo Harriet?
No.
Funziona Cynthia Erivo, nominata per la sua intensa interpretazione, e pure per la canzone Stand Up che era la più bella fra le cinque, di sicuro quella con la performance più intensa e sentita che fa il pari con le tanti canzoni che Harriet canta per comunicare con la sua famiglia senza farsi scoprire dai padroni bianchi.
Ma non funziona il resto.


Non funziona una storia che sembra già vista, già sentita, già raccontata.
Nonostante la sua unicità.
Non funziona il tono usato per raccontarla, con una divisione netta di buoni e cattivi, con i flashback e le visioni che colgono Harriet dai toni gelidi e televisivi, con una storia che procede su binari noti senza davvero stupire, interessare, in fondo.
Non funziona la scrittura che infarcisce di discorsoni, di morali, di invettive e pure di un certo melenso, appesantendo lo script.
Harriet è quello che ti aspetti da un film che parla della schiavitù in America e su una figura storica essenziale.
E lo senti il cuore che la regista Kasi Lemmons, la protagonista, la storia ci mettono.
Ma il suo battito si perde con facilità in un fiume di film che sembrano tutti uguali, a cui manca la scintilla per riuscire a rimanere, per differenziarsi.

Voto: ☕☕/5


6 commenti:

  1. Mi sa che ne faccio a meno.

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    1. Non credo troverà distribuzione da noi, e ora che gli Oscar sono passati, puoi pure evitarlo.

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  2. Dispiace, ma lo vedrò comunque, anche solo per conoscere una storia che ancora non conosco ;)

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    1. Ecco, diciamo che la storia di una figura così importante meritava di essere conosciuta, ma avrei preferito un film più originale, o coraggioso.

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  3. Con i film storici e impegnati il rischio che temo di più è che siano proprio come uno se li aspetta... Se non trattano il tema in maniera un po' nuovo, originale o personale, meglio passare.
    Mi sa che aspetto un nuovo Django Unchained. Se mai ci sarà...

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    1. Meglio passare sì, un mix di tutti i film sulla schiavitù che si sono già visti. Classica quota per evitare gli #Oscarsowhite ma sono convinta che nelle mani di qualcuno più originale, poteva uscirne un altro tipo di film.

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