3 febbraio 2020

Il Lunedì Leggo - Tre Opere di Zerocalcare

L'ho scoperto tardi Zerocalcare.
L'ho scoperto anche con un filo di diffidenza, per quelle recensioni da Venezia che non mi facevano impazzire, che non arrivavano con puntualità o con precisione.
Per fortuna mi sono ricreduta, e ogni anno grazie ai regali di Natale, proseguo il mio percorso a recuperare tutto quello che la Bao ha pubblicato.


Ogni Maledetto Lunedì su Due

Zerocalcare non l'ho conosciuto nel modo giusto.
Lui che era un blogger, che ogni lunedì pubblicava e regalava una sua storia a vignette ai suoi lettori, l'ho scoperto in ritardo, in libreria.
Un fenomeno che recupero pian piano, senza fretta, nella mia incursione nel mondo dei fumetti.
Scopro queste sue storie pubblicate negli anni e qui raccolte, solo adesso, alcune delle quali sono entrate pure nel poco fortunato (ma per me comunque sentito) film de La profezia dell'armadillo.
Piccole storie su abitudini comuni, su avventure domestiche, quotidianità.
Da quella madre che non sa usare la tecnologia a chi spoilera una serie TV fino al regazzino da istruire a suon di L'odio e Ken il guerriero.
Insomma, quei racconti che sono sempre così divertenti, dai tempi comici e dai riferimenti perfetti che conquistano con facilità la generazione di noi trentenni.



Ma per fortuna questa non è solo una raccolta di quelle tavole uscite con cadenza più o meno regolare sul suo blog.
C'è un leitmotiv comune, c'è una storia a colori che entra in scena qua e là, con giovani alla deriva, in un mare davvero grande dopo che la nave della loro speranza è affondata.
Qualcuno annega, altri vengono divorati da una balena bianca, altri ancora galleggiano su mezzi di fortuna.
Zero trova una zattera, almeno lui.
Lo sorreggono voci e persone.
Amici e lettori.
Ed è tutta una grande, bellissima metafora su quello che è crescere, su quello che è credere nel proprio sogno, vederlo realizzare pur con tutte le ansie e le paure che questo comporta.
Così, fra una risata sonora e l'altra, spunta immancabile qualche lacrima di ringraziamento.


Dodici


Da uno che mangia una stagione dietro l'altra di The Walking Dead, che la cita, evita spoiler, usa pure i suoi personaggi qua e là, una storia zombi te la aspetti.
Ed eccola qui, ambientata nella sua Rebibbia, ormai allo stremo, ormai popolata solo da non morti.
Zero, Secco, Cinghiale e la misteriosa Katja sopravvivono a suon di piccoli furti, merendine e lunghe sessioni di videogiochi in casa.
Fuori è il pericolo.
Ma come ogni avventura zombi che si rispetti, lo si deve affrontare: per fare provviste, per scappare finalmente con gli altri sparuti sopravvissuti alla ricerca di salvezza.


Niente di nuovo, verrebbe da dire, niente di così originale o memorabile a livello di storia.
Ma è la narrazione che fa la differenza: alternando due tempi, il prima e il dopo, la grande fuga, la grande attesa.
E la comicità a fare il resto.
Che qui si affida interamente all'eroe dalle poche parole Secco, lasciando Zero in disparte, brutalmente picchiato chissà da chi.
Non mancano i riferimenti ai grandi miti della nostra infanzia, tra Ken il Guerriero e i Cavalieri dello Zodiaco, non manca pure Shane di The Walking Dead, quando ancora la serie aveva qualcosa da dire.
Ma corre veloce, senza lasciare troppa traccia di sé questo Dodici, un divertissment il cui il Karma è un vecchietto che sproloquia, in cui Rebibbia continua a regnare.


Dimentica il mio nome

Al quinto fumetto qualcosa è cambiato.
Si sente e si vede.
La storia si fa unitaria, si fa familiare, si fa profonda.
Parte tutto da una nonna che non c'è più, che aveva promesso di andarsene solo quando Zero sarebbe stato un uomo.
Con lei se ne va ogni possibilità di fare domande, di avere risposte, di conoscere la storia di una famiglia complicata.
Quella di una francese cresciuta dai russi che finisce a Rebibbia.
Quella di un nome che non si può pronunciare, volti in foto sbiadite che non si conoscono.
C'è un funerale da organizzare.
E mentre gli adulti -quelli veri- mostrano crepe che si faticano ad accettare e non si sanno come frenare, non resta che aiutarli nei piccoli compiti.
Quelli piccoli davvero, ma alla fine, altrettanto importanti: cercare in una casa ora vuota, rovistare in cassetti pieni di cioccolatini, in archivi della memoria, interrogandosi ancora una volta sul passato, su gite allo zoo, su strani personaggi che a quel funerale si incontrano.


A questo giro, la fantasia si scontra con la realtà: gli animali diventano metafore a tutto tondo.
Così questo quinto fumetto diventa qualcosa di davvero prezioso.
Una storia sentita, un viaggio nel passato, un modo per conoscere genitori e genitori di quei genitori. La propria famiglia.
E allo stesso tempo, conoscere se stesso.
Tutte le paure che essere adulto -o quasi- comporta.
I riferimenti pop continuano ad esserci, Secco è quella spalla comica, quell'amico profondo a modo suo, che spezza la tensione.
E se lo senti che Zerocalcare è maturato attraverso una storia raccontata così bene, che mescola bene i tempi e i generi, lo vedi anche.
Lo vedi in vignette precise, in un nero ancora più nero, in sprazzi di colore che scaldano il cuore.
E lo dico io, che non sono e non potrò mai dirmi un'esperta in quanto a fumetti, scoperti troppo tardi.
Una maturità premiata (dalla trasmissione Fahrenheit) o anche solo finita tra i finalisti (al Premio Strega), una maturità che porta alle lacrime.
Quelle più sincere e grate.

3 commenti:

  1. Devo assolutamente leggerlo, soprattutto perché ho voluto molto bene al film La profezia dell'armadio!

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    1. Allora qualcun altro che gli ha voluto bene c'è! Io ho in lista Gipi ora, poco a poco arrivo a tutti i fumettisti che mi mancano.

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  2. Io sto procedendo lentamente nello scoprirlo... Leggo quello che pubblica nelle sue varie pagine ma con i libri di per sé me ne concedo una manciata all'anno. Al momento Dimentica il mio nome è il mio preferito, vedremo fra qualche mese (facciamo pure 10) con Kobane Calling e gli ultimi rimasti se noterò la differenza del successo.

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