3 dicembre 2025

Wicked: For Good

Andiamo al Cinema

Appena un anno fa era stato il miracolo di Natale: un film, un musical, su cui poco scommettevo che aveva saputo sorprendermi e coinvolgermi.
Sono tornata in sala con le aspettative più alte, con la voglia di scoprire una seconda parte per ovvi motivi più oscura e più cattiva, ma anche con il peso di un rewatch che si è fatto sentire per il suo minutaggio esagerato, sul divano di casa.
Meglio dirlo subito: il doppio miracolo non c'è stato e la classica frase da dire a chi chiede pareri resta: meglio la prima parte.
Meglio scoprirlo, il mondo di Oz, meglio stare tra i banchi della Shiz, meglio vedere l'amicizia nascere e crescere fra Glinda e Elphaba. Qui si è chiamati a essere adulti, ad avere nostalgia di quei tempi facili dove la verità con tutto il suo carico di brutture, non si sapeva.
Ora, invece, siamo a Oz, siamo in una Oz in guerra e che la guerra la fa proprio a Elphaba, la cattiva strega dell'Ovest, che vuole distruggere Oz, il suo Mago e i suoi abitanti.
Ma è tutto vero?
Quello che abbiamo visto e sentito e per cui abbiamo fatto il tifo per anni, con Dorothy e non solo, è in realtà un grande complotto che in questi tempi complottisti fa specie.


Winnie Holzman prima della Disney aveva rivalutato la grande cattiva della saga americana, l'aveva resa un'eroina incompresa, che i veri potenti sfruttano per i loro fini storpiando il suo messaggio, quello che vuole l'inclusione, che vuole aiutare gli animali parlanti e magici sfruttati e zittiti e costretti all'esilio da Oz. Qui sta forse la grande chiave di Wicked: nessuno è davvero buono, di certo non Oz o Madama Morrible, ma nemmeno Glinda con i suoi modi da fata pastello, nemmeno Elphaba, che si arrabbia, che si stanca di cercare di aggiustare le cose, facendo peggio, nemmeno quella sorella che è vissuta suo malgrado nella sua ombra e che diventa la malvagia strega dell'Est. E qui sta l'altra grande chiave di successo di Wicked: quella di riscrivere una storia nota, di farcela conoscere in modo laterale, dando una spiegazione vuoi al leone senza coraggio, vuoi all'uomo senza cuore, vuoi allo spaventapasseri senza cervello. Dorothy non ruba però la scena, né a Glinda né a Elpahba. Jon M. Chu non voleva certo oscurare le stelle di Ariana Grande e Cynthia Erivo né voleva tentare di trovare una sostituta di Judy Garland. Voleva raccontare la sua storia e l'ha fatto non perdendo di vista il messaggio. 


Certo, ci si aspettavano atmosfere molto più oscure, ci si aspettavano cattivi davvero cattivi e onestamente almeno canzoni tanto accattivanti quanto quelle della prima parte. Ma ci si deve accontentare di una trama che avanza per scene, più che per unità d'azione, della solita fotografia molto finta, di canzoni meno incisive, anche quelle inserite in modo originale, una ciascuna per Grande e per Erivo per arrivare almeno agli Oscar.
Se il minutaggio diminuisce, lo si percepisce comunque come pesante proprio per quell'azione che stenta a esplodere, per quello scontro che ci si aspetta e che alla fine non arriva, se non a distanza, se non nell'ombra, per portare avanti il messaggio. Sempre quello. Quello che esiste il grigio, tra il bianco e il nero, le sfumature, tra buono e cattivo, del potere che logora chi ce l'ha e i complottisti a trovare pane per i loro denti.
Rivalutate già l'anno scorso due attrici non certo campionesse di simpatia, a questo giro si sono defilate 
e che hanno fatto bene. Ne guadagnano sullo schermo, dove bastano sguardi, voce e gesti, a rendercele subito convincenti nella loro maturazione e presa di coscienza, dove basta una canzone per ribadire che la scelta, con due voci così, è quella giusta. Quanto a Jonathan Bailey, l'uomo più sexy sulla terra appena incoronato, fa da spalla e poco più, con i muscoli in posa a scimmiottare le copertine dei romanzi rosa. 


Agli Oscar torneranno, ma non so se farò il tifo per loro perché più che per la bravura di attrici dal timbro perfetto, più che dagli effetti speciali non certo memorabili quando si tratta di animali, i miei occhi sono stati rapiti dagli abiti in tutta la loro svolazzante bellezza, dalle scenografie, in tutti i loro folli colori, a creare un mondo nuovo e bellissimo, un mondo unico che Jon M. Chu ha saputo gestire al meglio. 
Capace di girare due film in uno, di concentrarsi sulla prima parte per rimandare il montaggio della seconda a campagna di lancio finita, il suo sforzo ha pagato in quanto a coesione della visione, del messaggio, della riuscita. Una seconda parte che cambia ma non troppo, che prosegue senza snaturarsi. E anche se pure a questo giro sono le aspettative ad aver fatto la loro parte, se partivo preparata da chi il musical l'ha visto e gli ha sempre preferito una prima parte più incisiva e leggera, resta un modo intelligente, furbo, e originale per chiudere e per salutare un mondo che probabilmente verrà cannibalizzato alla ricerca di storie laterali, spin-off e altre star.
Godiamocelo così, per ora, e anche se non è un miracolo, è una conferma con riserva.

Voto: ☕☕/5

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