Kathryn Bigelow ci riporta in guerra. Dopo lo splendido The hurt locker che mostrava la dura vita degli artificieri in Iraq, questa volta la regista premio Oscar fa luce sulla caccia all'uomo più importante della storia contemporanea: quella a Osama Bin Laden.
Catturato il 2 maggio 2011, con molti aloni di mistero a circondare l'accaduto, Zero Dark Thirty dà una sua versione dei fatti, perché nonostante si basi su fatti e testimonianze concrete, in America il lavoro è stato tacciato di falso storico.
Zero Dark Thirty è sicuramente meno di impatto del suo precedente, lì la tensione era palpabile ad ogni inquadratura, sottolineata da un sonoro perfetto, qui la storia da raccontare è invece decisamente più complessa, attraversando anni e Paesi.
Non aspettatevi però la classica americanata patriottica, perché, e questo è il punto di forza dell'intero film, si è di fronte ad un'ossessione, ad una caccia con un'unica preda ma anche con un'unica cacciatrice. Si tratta di Maya, ingaggiata dalla CIA subito dopo la scuola e con l'unica missione di fermare l'escalation degli attacchi terroristici partita dopo l'11 settembre.
Partendo dallo schermo nero, con le chiamate e i servizi televisivi sulla tragedia di New York a riempire il vuoto, si parte per una vera e propria escursione storica, dove si toccano l'esplosione nella metro di Londra, il camion bomba nell'hotel Marriot di Islamabad, l'attentato nella base della CIA in Afganistan. In tutti questi anni e in questi luoghi si muove Maya, agente in servizio che mette la sua intera vita al sevizio dell'agenzia. E' lei la protagonista assoluta del film, incarnata alla perfezione da Jessica Chastain che ne fa un personaggio scomodo, certo, ma risoluto e assolutamente dedito al lavoro. Nei suoi 12 anni di servizio, infatti, 9 saranno dedicati a trovare Bin Laden, e quando la possibilità concreta di averlo trovato si affaccia non saranno i capi né i colleghi a fermarla. Anzi, questi scontri e questi ostacoli non faranno altro che aumentare la sua tenacia e la sua forza di volontà.
Dopo le 2 ore trascorse, senza un filo di noia, il film subisce qui un'impennata con "I canarini" -la squadra speciale addestrata in incursioni flash- entra nel covo del terrorista. Zero Dark Thirty questo significa, agire in un orario dalla mezzanotte alle 4, con il buio come alleato. L'azione si fa dunque adrenalinica, la Chastain scompare dallo schermo per lasciar posto a una ricostruzione dell'accaduto che tiene inchiodati alla poltrona.
Dopo quest'ansia, questa tensione, tutto esplode nella gioia, nella soddisfazione. Ma non può finire qui. Perché la Bigelow non mostra la faccia dell'America patriottica e orgogliosa del suo operato, mostra invece le lacrime che affiorano dagli occhi di Maya, con la consapevolezza di aver fatto la storia a discapito della sua vita, che ora, solo ora, può iniziare.
A me è piaciuto, ma con qualche riserva. In particolare non mi pare accettabile che si parli di temi così delicati (in particolare l'uso della tortura) senza prendere una posizione esplicita. Non mi ha fatto fare salti di gioia nemmeno il fatto che a capo della caccia a bin Laden fosse una donna, visto che poi si comporta quasi sempre come un uomo, e la Bigelow mostra come i colleghi la rispettino proprio perché abdica dalla sua femminilità.
RispondiEliminaMi ha sempre infastidito l'uso delle donne per dare più forza al film. Per questo non ne ho parlato esplicitamente perchè se fosse stato un uomo non ci sarebbe stato bisogno di sottolinearlo e allora, vista la parità dei diritti, do alla Chastain lo stesso trattamento.
EliminaPer quanto riguarda la tortura credo che la Bigelow ci abbia solo mostrato due modi di pensare, mettendo le due parti -quella degli agenti che la considerano utile e quella di Obama che la vuole far cessare- in contrapposizione.
Proprio quello che intendevo dire, hanno preferito non prendere posizione. Secondo me, su temi del genere una posizione va presa. Capisco le esigenze commerciali, ma non apprezzo la scelta.
EliminaNon ho capito invece il tuo punto sull'uso delle donne. Il (mio) problema non è la Chastain, ma l'uso che ha la regia ne ha fatto per affermare come vincente uno stile di vita a-femminile. Se fosse stato un uomo in quel ruolo, ci sarebbe stato poco da notare. Ma qui si prende una donna, la si fa agire come se fosse un uomo, e la si considera vincente per questo. Mi sembra che la morale sia che tutti (donne comprese) si debbano adeguare ad un unico modello. I momenti di femminilità della Chastain sono quelli di crisi del personaggio, avrei preferito che la sua femminilità venisse invece mostrata come una forza, come capacità di affrontare i problemi in un modo diverso.
Il fatto è che ogni volta che si mette una donna protagonista di un film forte si devono fare discussioni e discorsi infiniti sul suo atteggiamento, sulle sue motivazioni, ecc. Il personaggio di Maya non funziona bene solo perchè è donna, funziona per come è stato costruito,completamente ossessionato dalla caccia all'uomo, con spirito di vendetta più che di patriottismo. Come hai detto tu se fosse stato un uomo non ci sarebbe stato nulla da notare, perchè invece una donna deve per forza essere portatrice di valori femminili?
EliminaCapisco (o almeno credo) il tuo punto, ma intendevo dire cose diverse. Il personaggio di Maya direi che funziona, però non aggiunge niente di nuovo. Un novizio arriva in un ambiente difficile, i vecchi sono scettici sulle sue capacità, lui punta tutto sul successo e - sorpresa delle sorprese - vince. Film così ce ne sono a milioni. Ce ne sono meno nel caso in cui il ruolo è assegnato a una donna ma la sostanza resta quella, e si spreca la possibilità di dire qualcosa di diverso. Mettere una donna in quel ruolo poteva essere un buon modo per mostrare che ci sono approcci migliori all'"io ti spezzo in due" comunemente mostrato in questi casi.
Eliminascusate se mi intrometto, ho letto una recensione di un critico Usa che afferma, più o meno, che dire che in questo film si lodi la tortura è come dire che Melville lodasse la caccia alla balena.
RispondiEliminasono d'accordo, e mostrare cose che non abbiamo mai visto è una posizione, forse.
La tortura ci viene mostrato come mezzo e credo che l'iniziale stupore della Chastain unito alle parole di Obama sono un modo per farci vedere due aspetti della stessa medaglia. Le cose andavano così, il mostrarcelo non deve per forza richiedere una presa di posizione.
EliminaUn film difficile, non prende posizione come un Scorsese o un Coppola facevano sul Vietnam, però dice una cosa sconcertante: la tortura era un sistema usato ed autorizzato, anche se nascosto, e non erano solo quattro mele marce. Non so se mi sia piacuto, ma è fatto molto bene.
RispondiEliminaSul fatto che sia fatto molto bene non posso che essere d'accordo. Credo che l'intento della Bigelow non fosse tanto quello di criticare scelte e operati, ma di mostrarci come le cose funzionavano/funzionano.
EliminaAppena visto. Non è ai livelli di The Hurt Locker (e neanche di Strange Days a dirla tutta), comunque un buon film. Parte piuttosto lento per poi farsi sempre più appassionante e la parte finale è da cardiopalma.
RispondiEliminaMolto lodevole la cura documentaristica, io almeno l'ho gradita molto.
Qualche riserva sulla recitazione troppo enfatica di Jason Clarke, che sembra voglia recitare Shakespeare al prigioniero. Anche altre sequenze mi sono sembrate poco realistiche (il ministro della guerra che parla come un cowboy? Il prigioniero trattato come un amicone per farlo parlare?) ma immagino che la realtà superi ogni fantasia.
All'inizio anche a me è sembrato un film "per falchi" visto che sembra legittimare l'uso della tortura, ma col procedere della storia mi sembra che la Bigelow ponga molto l'accento sul carrierismo e l'inettitudine di alcuni burocrati che dovrebbero invece avere come priorità la sicurezza del proprio paese. Certo, forse questo cerchiobottismo getta una luce di ambiguità morale sul film e una presa di posizione decisa sarebbe stata più gradita, ma nulla toglie al suo valore.
Tra l'altro dopo lo scrittore, la scrittrice e il fumettista ho trovato il quarto Colin Wilson: questo nome figura nei titoli di cosa e non penso sia nessuno dei tre precedenti.
The hurt locker si sviluppa in tutt'altro modo, forse addirittura più documentaristico anche se più di finzione. Lo ritengo anch'io superiore visto che riesce a trasmettere sensazioni con una facilità inaudita e ti scava dentro mettendoti nelle situazioni più estreme. Questo è comunque un gran bel film con una bellissima Jessica Chastain. Non prenderà esplicite posizioni sulla tortura ma è uno spaccato di America che mostra come le cose funzionavano/funzionano.
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