6 maggio 2017

Tumbledown

E' già Ieri. -2015-

Se c'è un elemento che fa scattare il dramedy indie, è il lutto.
Affrontarlo, superarlo, conviverci.
La morte, affrontata con i toni leggeri e la profondità tipica del genere, si presta ovviamente un gran bene, ma anche qui, come ieri in cui la morte la si cercava su di un ponte, non tutto torna.
La morte in questione in Tumbledown è quella avvenuta ormai due anni fa, di Hunter Miles, ex ragazzo di città, ex batterista di una band punk, che ha trovato in Hannah la sua anima gemella.
Con lei si è trasferito in pieno Maine, tra montagne, paesini in cui ci si conosce tutti per nome, e tanta, tanta natura in cui immergersi.
Qui si è ritrovato, e ha composto un album intimista acclamato dalla critica, osannato come capolavoro.
Poi è morto, in circostanze misteriose su cui fan e stampa speculano, ingigantendo la sua fama, lasciando lei, Hannah, sola in quella natura che dovrebbe esser casa.


Lei è quello che ci si aspetta, in tutto e per tutto, bellezza naturale, dai modi rudi, ironica quanto basta, che vive e si strugge nel ricordo di un amore a cui vorrebbe dar tanto, compresi i suoi ricordi, (ma che nel mentre concede il corpo ad altri) in una biografia che cerca di scrivere ma che non riesce.
Lui, il nuovo lui in questione, è Andrew, un professore di New York, ossessionato dalla morte e per questo affascinato dalla figura melanconica di Hunter, che su di lui vorrebbe scrivere un libro e finisce invece per aiutare lei, dopo schermaglie, battibecchi e modi rudi in abbondanza.
Una convivenza forzata, un'amicizia che cresce, piccole e grandi scoperte sul passato di entrambi.
Ci si potrebbe fermare qui, sarebbe stato meglio fermarsi qui, perchè invece no, invece quell'elemento, quell'ingrediente fondamentale delle dramedy indie bussa prepotentemente alla porta: l'amore.
Ma, un po' cinica, un po' stanca di questi nuovi cliché, io quell'amore non lo volevo, non ci stava, ed ero così contenta nel sapere Andrew già impegnato, seppur con la più classica ragazza di città ritratta appositamente per stare antipatica al pubblico.


E allora, Tumbledown scivola in un'ultima parte troppo mielosa, troppo forzata, pure, in cui non tutto si incastra alla perfezione.
Rebecca Hall resta affascinante, bellissima e vera, mentre Jason Sudeikis gigioneggia troppo, in modo a volte fastidioso e non in linea con il personaggio ma con gli altri personaggi interpretati dall'attore in passato.
Per il resto, c'è ovviamente tutto quello che permette di far breccia, da musiche lente, malinconiche, ipnotiche attribuite a Hunter ma in realtà scritte e interpretate da Daniel Hart (che ricordano Elliott Smith o Damien Rice), c'è una fotografia che ben inquadra e fa innamorare del Maine come della casa ultra folk di Hannah, ci sono abiti che gridano hipster ad ogni dove, pur nei sussurri di un film che regala piccole perle nella riflessione sulla morte, sull'elaborazione di un lutto che mai si vede.
Ultimo appunto, cari grafici che componete le locandine dei film, prendere l'ultimo fotogramma, quel lieto fine non cercato e non voluto, non è un po' un colpo basso oltre che uno spoiler?
Però capisco, ci sono cascata anch'io, almeno in questo.


Regia Sean Mewshaw
Sceneggiatura Desiree Van Til
Musiche Daniel Hart
Cast Rebecca Hall, Jason Sudeikis, Joe Manganiello
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2 commenti:

  1. Anche io ho trovato l'ultima parte romantica un po' forzata, però per questo genere di film è qualcosa di quasi inevitabile...

    Nel complesso comunque, soprattutto grazie alla sua componente musicale-letteraria, l'ho trovato un film con il suo perché e con il suo fascino.
    E con un Jason Sudeikis fastidioso sì, ma meno del solito. :)

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    1. Fascino ce n'è, e anche storia che pur essendo dentro il solito schema, ha qualcosa di nuovo da dire e approfondire. Però, l'amore, per una volta potevano risparmiarcelo...

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