30 settembre 2017

Krisha

E' già Ieri -2016-

Krisha è una di quelle donne che non passano inosservate.
Una fisicità che si impone, un modo di fare piuttosto schietto, che arriva, trafelata e agitata, a casa.
Da quella famiglia che non vede da tanto, con sorrisi di circostanza e notizie su nascite e crescite che si accavallano, con la tensione che però c'è. E si sente.
È il Giorno del Ringraziamento, il tacchino con il suo ripieno va preparato, le tradizioni delle donne ai fornelli e gli uomini a ciondolare tra TV e giardino vanno rispettate.
Passano le ore, le verdure vengono tagliate, i cani lasciati liberi, e si vede Krisha sempre più agitata, che parla, ma nulla dice, che ascolta, e un po' non capisce, che vuole parlare, ma commette l'ennesimo errore.
C'è un passato che non è ancora stato perdonato, c'è una fuga che voleva essere una guarigione che non è ancora finita, e allora, il ritrovarsi, la giornata che finisce, i pezzi che si mettono insieme, corrispondono anche al punto di rottura, a un tacchino che non è bruciato, non è stato rovinato, ma che non sarà comunque mangiato.



È tutto un crescendo Krisha, è tutto un mettere fin dalla prima immagine, ansia allo spettatore, grazie a una colonna sonora che non passa di certo inosservata, anzi, fa da contrappunto alle immagini riuscendo a farci capire, percepire, lo stato di Krisha.
Ma in questo film amatoriale e indipendente, realizzato grazie all'aiuto di Kickstarter e con Trey Edward Shults che ha coinvolto la sua intera famiglia per realizzarlo, qualcosa, ai miei occhi, scricchiola.
Scricchiola per via di quella sperimentazione che sta su quella linea di confine difficile da intuire tra genuinità e puro mostrarsi, scricchiola per la fisicità di quella protagonista che non può lasciare indifferenti e non riesce a far entrare in empatia, almeno non me.


Chiusi in quella casa, tra fannulloni che tutto rompono, ubriaconi ciarlieri e pieni di rabbia repressa, cani abbaianti e ingombranti, il senso di claustrofobia è alto. Si vorrebbe urlare, come farà Krisha, si vorrebbero distruggere certi riti, certe etichette, parlarsi davvero, senza più filtri.
Il filtro vero, però, è il cinema, che prende il sopravvento in un discorso metacinematografico, che irrompe in scena creando un film nel film, restringendo le dimensioni dello schermo, seguendo Krisha nel suo climax liberatorio, e che prosegue, oltre quello schermo, in una realtà che si fa finzione, in una finzione che richiama la realtà, e che la realtà mette in mostra, lì, tra amici e famiglia, sullo schermo riuniti per raccontare la loro storia.
Non è un film facile, non è un film leggero né scorrevole nonostante i suoi appena 80 minuti di durata, e poco resta alla fine di questo esperimento, di questa confessione che forse è anche una catarsi.
Resta poco, se non uno sguardo, delle lacrime e della delusione, che affiorano fuori e dentro il film.


Regia Trey Edward Shults
Sceneggiatura Trey Edward Shults
Musiche Brian McOmber
Cast Krisha Fairchild, Robyn Fairchild Trey Edward Shults
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3 commenti:

  1. Ne avevo sentito parlare con toni molto più entusiastici e mi incuriosiva parecchio.
    Adesso, per una volta che volevo vedere un film su una vecchina, dopo la tua recensione mi spaventa un pochino... :)

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    Risposte
    1. Ci sono vecchine più simpatiche e meno sperimentali di questa. Forse troppo indie, forse troppo respingente, ma ho davvero faticato ad entrarci.

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  2. Io comunque una sbirciatina gliela do, forse mi piacerà ^_^

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