Il mio difficile rapporto con il cinema orientale ormai mi precede.
Ma se un Cannibale inserisce nella sua classifica di fine anno un film sud-coreano, allora una speranza gliela si deve dare.
Capita ora, complici le vacanze, di trovare quei 148 minuti di tempo per finire in una caotica Paju fatta di appartamenti minuscoli o fattorie fatiscenti. Qui abitano Jong-su e Hae-mi, amici (o nemici) d'infanzia che si ritrovano ora e si attraggono. Ma lei parte per l'Africa, torna al fianco di un misterioso giovane ricco, dall'appartamento ordinato, spazioso, lussuoso, e tutto cambia.
Crescono i sospetti, la gelosia, l'attrazione.
Crescono i dubbi, quando Hae-mi non si fa più sentire, il suo appartamento si fa irriconoscibile, traccia di quel gatto che Jong-su ha sfamato alla cieca, non ce ne sono più.
Quel fuoco, allora, prende un'altra spiegazione. Quegli incendi che sembravano capricci, un altro significato.
Raccontata e riassunta così, la trama di Burning non rende omaggio a quel tempo dilatato e lento tipico di certi film orientali.
Non è un giallo, non è un thriller, è un dramma di un'umanità diversa.
Ma nemmeno troppo.
In cui il mistero e la scomparsa giocano d'anticipo, tra arance immaginate e gatti mai visti.
Entrati in questi tempi, nella presa di coscienza di Jong-su e nel suo stato d'animo che passa dallo sfaticato al timido innamorato, all'ex ferito e infine vendicativo, i 148 minuti di durata che sembravano colossali, non si sentono.
Si sente invece quell'umanità che viene raccontata, quegli spazi che sono una metafora del passato, dell'oggi e del futuro di un paese. E una storia che parte in un modo e che traghetta senza rendersene conto, in un altro.
La penna è quella di Murakami, dal cui racconto è tratto.
I volti non sono noti, tranne un Steven Yeun che torna in patria incarnando alla perfezione un Patrick Bateman orientale.
L'approccio migliore è quello di gustare Burning senza sapere troppo, lasciandosi trasportare tra macchine di lusso e camioncini da rottamare, luci dell'alba e tramonti meravigliosi in questo mondo a parte, ma in fondo nemmeno troppo lontano.
Voto: ☕☕☕/5
Il poco che ho capito, mi è piaciuto parecchio.
RispondiEliminaAaha, sì i sub in inglese fanno la loro parte ma quel suo essere strano e sviante gli dà ancora più fascino.
EliminaStile Terrence Malick insomma...non il miglior auspicio per me...
RispondiEliminaUhm, no, non tirerei fuori Malick come paragone. Qui c'è più sostanza. Più trama, soprattutto. Anche se si prende i suoi tempi e gioca con lo spettatore nel cambio dei generi.
EliminaSe Ford parla bene di un film orientale è la norma. Se ne parlo bene io in effetti è un miracolo. :)
RispondiEliminaCome dici è un lavoro il cui notevole minutaggio non si sente. Anzi, regala diverse sorprese e momenti di grande cinema, e fa quasi venire voglia che duri 3 o 4 ore. Quasi, eh. :D
Non esageriamo! La durata non si fa sentire ma basta e avanza. Grazie ancora per la dritta :)
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