26 marzo 2020

L'uomo invisibile

Diciamo la verità: dell'ennesimo remake de L'uomo invisibile non si sentiva la necessità.
Ma bastano pochi minuti del film di Leigh Whannell per smentire all'istante questo commento.
Si apre, e siamo in una situazione tesa come poche, in cui una donna deve andarsene di casa, e non deve farsi scoprire.
Il perché, lo si intuisce subito, senza bisogno di tante parole, di tanti discorsi.
Se Cecilia da una villa perfetta -seppur gelida- vuole scappare, se arriva a narcotizzare il compagno, a prendere pillole anticoncezionali, ad avere un borsone d'emergenza, il motivo è ovvio.

Bastano questi pochi minuti, allora, in cui si sussulta per una ciotola, per un cane, a far capire la necessità di un film come L'uomo invisibile, che dallo spunto classico -un uomo che diventa invisibile, ripetiamoci pure- costruisce un film che parla di ben altro.
Parla di stalker, di relazioni pericolose, di vittime che continuano ad essere tali e continuano soprattutto ad essere trattate come tali e a non poter uscire dalla loro condizione.
Mai.
La sensazione di essere perseguitate da un'ombra, giudicate da un occhio sempre puntato, il pericolo dietro le spalle, dietro il prossimo angolo.
Così, si vive.



E Cecilia lo rappresenta bene, lo sa bene.
Lei che dopo essere fuggita da quella villa isolata e ipertecnologica trova rifugio da un amico poliziotto attenendosi ad uno scrupoloso piano di isolamento, lei che sembra poter andare avanti con la sua vita solo ora che quel compagno -ottico d'avanguardia- si è suicidato.
Ma è davvero così?
Quella sensazione che qualcuno la segua, la spii, le giochi brutti scherzi, è solo una sensazione?

Non per Cecilia, e non per noi che con una sola occhiata a quel magazzino sotterraneo non abbiamo (appunto) visto la creazione più importante: una tuta che rende invisibili.
Nessun sortilegio, quindi, nessun incidente di laboratorio.
"Solo" la spaventosa tecnologia nelle mani di chi la usa per i fini sbagliati.
Sarà quindi un'escalation nella follia per Cecilia, a cui nessuno più crede, con il suo mondo che torna a voltarle le spalle, ad essere lontano.


Ora, sì, nell'ultima parte si esagera un po', con l'azione che prende il sopravvento e una certa sospensione della realtà necessaria.
Il da alcuni invocato colpo di scena "era tutto nella sua testa, incapace di dimenticare e andare avanti visti gli anni di abusi" avrebbe potuto fare il suo, ma non toglie il fatto che trasformandosi in un thriller, con combattimenti e scene spericolate piene di ritmo, questo Uomo invisibile diventa un film godibile, non solo veicolo di un messaggio importante, raggiungendo così più pubblico.
Ed è un bene.

La fa da padrone anche una colonna sonora importante, capace di creare, mantenere ed alzare il livello di tensione.
Elisabeth Moss va da sé, si supera nuovamente.
Lei che nei ruoli della vittima che si riscatta, che pretende una rivoluzione, mette i brividi più dei veri cattivi. Che qui, davvero non si vedono mai, fan sussultare, fan stringere coperte e unghie, per poi rivelarsi, in carne ed ossa, come quella persona normale da cui un simile potere non te lo aspetti.
Un po' come nella vita reale.
Un po' come certi titoli, che davi come reboot piuttosto inutili e superflui, ma che tra i brividi sanno far riflettere.

Voto: ☕☕½/5

11 commenti:

  1. Ho il posto in rampa di lancio dalle mie parti, Leigh Whannell è un sorvegliato speciale, può fare bene oppure molto male, in questo caso al netto di qualche sopportabile svarione, barrare la seconda opzione. Il tipo di film che mi piace, di genere ma con una chiave di lettura anche seria, e poi Lizzy Moss quanto è brava? Ho pensato la stessa cosa, si è superata, non lo credevo possibile invece eccola. Cheers!

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    1. Quindi è la prima opzione, o mi preoccupo! Non aveva notato che il regista è lo stesso di Saw e Insidious, qui gioca moltissimo con la psicologia ma ha soprattutto una raffinatezza che rende L'uomo invisibile godibile anche fuori dal genere thriller/horror.
      Lizzy l'inquietante è fenomenale, l'ho appena vista in Her Smell (ne parlerò fra qualche settimana) e pure lì si supera ancora una volta.

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  2. Mi è piaciuto più del previsto, lei magistrale, e regia molto raffinata soprattutto nella prima parte. Quei campi lunghi. Quei vuoti, super inquietanti. Peccato per l'espediente delle tutine, senza dire troppo: l'ho trovato un po' ridicolo e forzato.

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    1. In realtà quelle tutine mi sono piaciute, che non ci fosse di mezzo la fantascienza o qualche esperimento da laboratorio lo rende ancora più realistico.
      Di spauracchi me ne ha fatti prendere un bel po'.

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    2. Sono piaciute anche a me, ma intendevo il ritorno a casa, la doppia tutina, l'armadio... No, dai.

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    3. Ah! Effettivamente il fatto che si fosse una doppia tutina non ha convinto neanche me, ma ci sono passata sopra senza pensarci troppo visto il finale che ha concesso.

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  3. Dopo Swallow, un altro thriller-horror che entrerà sicuramente nelle classifiche di fine anno e un altro esempio di come la Blumhouse, tra un filmetto e l'altro, stia facendo benissimo al genere.

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    1. Ci vogliono più film così per avvicinarmi al genere, so che sbaglio io, ma per fortuna quando di mezzo di sono messaggi importanti veicolati benissimo, anche gli incubi notturni passano in secondo piano.

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  4. Questo, The Hunt e Swallow sono in cima alle cose da vedere al più presto!

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    1. Diciamo che con i brividi (compreso il film che arriverà domani) per ora ho dato.
      The Hunt lo salto volentieri, sulla carta non fa per me.

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  5. lo sto vedendo e mi sta piacendo :)

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