3 luglio 2020

Honey Boy

Andiamo al Cinema a Noleggio

Shia LaBeouf potrebbe essere famoso per questo:

American Honey

o per questo:

Borg McEnroe

o quest'altro ancora:

Nymphomaniac

Invece, ai più è famoso per questo film poco memorabile:

Indiana Jones 4

e quest'altro ancora:

Transformers

Ma siamo onesti, Shia LaBeouf lo si conosce per questo:


e questo:


e questo:


Un attore famoso per i suoi eccessi, per le sue sbandate, per i suoi problemi con la legge.
Strano?
No.
Non, soprattutto, se sei un attore fin da bambino.
E come ogni manuale di psicologia insegna, la colpa è sempre del padre.
Come gestire infatti un padre che è un proprio dipendente, che vive grazie agli assegni che Shia LaBeouf stacca, che non si fa una ragione di non essere lui, ex star del rodeo con tanto di gallina, la vera star della famiglia?
E come superarli allora quegli eccessi, ripulirsi, se non ricoverandosi in rehab, affrontando il passato, ritrovandosi vittima di stress post traumatico?
E perché poi non farci un film?


Ok, sul perché fare di un diario di ricovero, di una lunga sessione di analisi un film, forse non c'era bisogno.
Lo stesso Shia LaBeouf ammette candidamente che:

«È strano ossessionarsi al tuo dolore, ricavarne un prodotto e sentirsi in colpa per averlo fatto. 
Mi è sembrato molto egoista. 
Tutta questa faccenda è sembrata molto egoista. 
Non ho mai pensato 'Oh, sto andando ad aiutare delle cazzo di persone'. 
Non era il mio obiettivo. 
Stavo cadendo a pezzi»,

ma il materiale scritto già sotto forma di sceneggiatura era davvero scottante per non essere portato al cinema, affidandolo alle mani Alma Har'el.
E perché allora non fare un ulteriore esercizio per superarli, questi problemi, per demonizzali?
Così Honey Boy è il film dove Shia LaBeouf affronta i suoi traumi infantili, il suo essere attore, custode e curante ma soprattutto figlio. Di un padre ex alcolista, veterano, perennemente arrabbiato o inguaiato.
Vittima di una violenza raramente fisica, di certo psicologica.
Questo passato lo affronta di petto, perché Shia LaBeouf si ritaglia il ruolo di quel padre che a fatica, solo ora, può perdonare.
In un immenso processo di guarigione che avviene sotto i nostri occhi.


Il film si fa importante anche per come racconta questa storia, andando avanti e indietro nel tempo, mostrandoci Shia LaBeouf adulto interpretato dal sempre intenso, sempre una garanzia Lucas Hedges, che impegnato su un set e a sballarsi e infine in un rehab, ripensa alla sua infanzia.
Passata in un motel simile a quello del Florida Project, dove convergono vite al limite, derelitte.
Ripensa alle lunghe riprese nei set, ai rari momenti di tenerezza di un padre, ma soprattutto agli scatti d'ira, alle uscite imbarazzanti, traumatizzanti.
Il racconto fa male, con Shia LaBeouf stesso che lo senti impegnato a non cedere, a farcela nel rappresentare quel padre complesso in ogni sua sfumatura.
Ma a sorpresa, ne esce un film poetico, grazie a una fotografia dai colori dei sogni e degli incubi, grazie ad un ragazzino come Noah Jupe che ricorda un giovanissimo Anton Yelchin, all'amore impossibile verso una donna più grande (FKA twigs, fidanzata di Shia, giusto per tenere tutto in famiglia) e al poter per una notte solitaria, tornare davvero a giocare a fare l'attore, senza bisogno di parole, di una macchina da presa.
Il finale, riconciliante, è quello che riconcilia anche con Shia LaBeouf stesso, ora che ci ha permesso di entrare nella sua testa, sotto quel sacchetto di carta.
Ne avevamo e ne aveva bisogno, di un film così.


Voto: ☕☕½/5

6 commenti:

  1. Visto durante la quarantena e, purtroppo, presto scordato. Shia molto bravo, i toni sono quelli giusti, ma non ho mai trovato la voglia di parlarne. E mi dispiace.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La storia che ci sta dietro è quasi interessante come il film stesso. La serata giusta ha aiutato, e certe immagini/scene faticherò a dimenticarle ogni volta che Shia tornerà in scena.

      Elimina
  2. Un film da vedere, soprattutto perché interessante da scoprire, per come è stato realizzato, per il suo modo insolito ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto, saperlo fa di sicuro la differenza, ma Shia ci mette tanto del suo anche come attore oltre che come scrittore.

      Elimina
  3. Bel film, abbastanza.
    Da fan di Shia, più per il suo lato alternativo, anche se pure nella prima metà del primo Transformers se la cava, mi aspettavo un cult totale e invece per quanto mi riguarda non lo è del tutto. Comunque sì, di un film così noi ne avevamo bisogno un pochino. Lui tanto. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lui decisamente, io abbastanza per rivalutarlo e vederlo sotto un'altra luce d'ora in poi.

      Elimina