28 novembre 2020

Elegia Americana

Andiamo al Cinema su Netflix

Cosa non si fa per vincere un Oscar, verrebbe da esclamare!
Che si sa, se lo vuoi vincere: trasformati, imbruttisciti, dai il meglio di te in un ruolo difficile, odioso, spigoloso, e chissà che l'Academy non ti riconosca i tuoi meriti dopo anni di pesci in faccia.
Viene da chiedersi se è questo il pensiero che ha spinto due perdenti clamorose come Amy Adams e Glenn Close a scegliere di partecipare al film di Ron Howard. Uno che l'Oscar l'ha pure vinto, ma che predilige quelle storie altamente americane, a tratti buoniste, il più delle volte retoriche, che per la corsa alla statuetta sono una marcia in più.
Viene da chiederselo mentre danno il massimo -bada bene, non il meglio- tra trucco, parrucco, accenti e movenze, nel calarsi nei panni di una madre irrequieta, dipendente e non facile, di una nonna amorevole a modo suo, che rimedia i suoi errori materni attraverso i nipoti.
Le vedi nelle immagini promozionali di Elegia Americana e pensi che forse questa potrebbe davvero essere la loro volta buona.


Vedi il film, e ti auguri con tutto il cuore che le loro recitazioni in overacting fastidioso, in cui le vedi che recitano, che agognano riconoscimenti, vengano snobbate.
Sì, perché il film è anche più buonista e retorico di quello che ci si poteva aspettare, un'elegia americana che cerca di farsi denuncia, che cerca di alleggerire lì dove può con una storia d'amore romantica, ma dall'inizio alla fine fa solo sbuffare per come questa storia viene raccontata.
Già la scelta di un protagonista piatto e per nulla incisivo come Gabriel Basso è da mettere in discussione, la sua voce fuori campo che racconta la sua faticosa fuga da una casa dove urla, soprusi e sbalzi d'umore sono all'ordine del giorno, il suo difficile inserimento a Yale, dove tutti sembrano già ricchi e preparati a vivere in un ambiente da ricchi, il suo difficile ritorno a casa, per assistere l'ennesima ricaduta materna e farci finalmente i conti sembrano il compendio della poca originalità.


Vero, la storia è vera, ma non toglie che viene raccontata proprio male.
Il tentativo di denunciare quella dipendenza da farmaci e da eroina che colpisce una percentuale sempre più preoccupante di americani è un buco nell'acqua. 
Lo stesso nel cercare di far luce sull'America bianca e bifolca, su quelle famiglie numerose, quelle gravidanze adolescenziali, quell'alcolismo che facilmente si insinua dove il lavoro manca e la vita sembra essersi fermata.
Lo si fa in entrambi i casi senza un guizzo di originalità, di vero interesse.
Sul tema molto meglio il natalizio Ben is Back, dove la retorica sapeva pullulare senza infastidire troppo.
O quell'Osage County che è stata una fortuna per Julia Roberts e Meryl Streep.
Qui, sono proprio le (non) protagoniste a oscurare la scena e prendersi sempre più spazio, nel mostrare pazzia e acciacchi, sbalzi d'umore e vecchiaia, rendendo quasi ridicola la presenza di Basso.
Rallenti, flashback, una costruzione della sceneggiatura a ritroso che non inganna e un finale che condensa quel passato sono poi la ciliegina sulla torta di un film che già aveva tutte le carte in regola per essere il più retorico nella corsa agli Oscar, ma da cui si spera che pure gli Oscar si terranno a distanza.
Di certo lo fanno le critiche cattivissime -ma meritate- a cui mi unisco volentieri.


Voto: ☕½/5

9 commenti:

  1. Storia vista e rivista, infarcita di cliché. Ho trovato Amy Adams ridicola, mi ha regalato più di qualche scena involontariamente comica. Glenn, nonostante tutto, mi è piaciuta moltissimo ugualmente.

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    1. Glenn si cala meglio nella parte, ma vedi sempre il trucco, l'attrice, e non il personaggio.
      Noia a palate, non ne potevo più.

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  2. Io, nonostante l'ammirazione davvero spasmodica che ho sia per Amy Adams che per Glenn Close, già solo a vedere le immagini mi tengo molto alla larga da sta roba...

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    1. Speravo e lo credevo un racconto diverso, invece si sbaglia su tutti i fronti. Fai bene a girare a largo, una serata sprecata.

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  3. Film bruttarello e con vari difetti, però mi sembra vi stiate tutti accanendo in maniera eccessiva. Personalmente, ho visto ben di peggio. :)

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    1. Non è accanimento, è amarezza per il potenziale di storia e cast sprecato in questo modo retorico e noioso.
      Di peggio, ultimamente, non ho visto altro, ma io seleziono in partenza ;)

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  4. ... stavo rispondendo al “cannibale”: sono d’accordo con lui: film non memorabile ma nemmeno così orrendo... in altre mani (Clint??) ne sarebbe potuta venire fuori un’opera di ben altro spessore, tuttavia anche questa versione di Howard ha il merito di mostrarci un’America ben diversa da quella che siamo abituati a vedere, e ci aiuta a capire come mai Trump ha vinto le scorse elezioni e ha rischiato di fare il bis. Un’America rurale, ignorante, arretrata, dove solo chi scappa riesce a trovare fortuna. Il protagonista, é vero, corona il suo sogno, ma a un prezzo carissimo (la distruzione della propria famiglia). Siamo proprio sicuri che sia un film così retorico?

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    1. Ti dirò, non riesco nemmeno a vederci chissà quale messaggio politico o tentativo di far luce su quell'America bianca, e anche se ci si è tentato, si è fallito miseramente non riuscendo ad andare a fondo al personaggio della madre o della nonna lasciando parlare qualche a flashback a favore del romanticismo inutile del nipote.
      Più che una diversa regia, avrei preferito un diverso approccio: meno costruito e quindi sì, meno retorico.

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