2 novembre 2020

Il Lunedì Leggo - Conversazione con Woody Allen di Jean-Michel Frodon

Mentre tutti hanno già letto, criticato e sezionato la sua autobiografia, io arrivo in ritardo con una Conversazione pubblicata nel 2000.
Mentre in A proposito di niente ripercorre vita, amori, lavori e desideri, qui ci si concentra sul suo periodo meno illuminato -almeno per me- quella decade degli anni '90 che anche con il senno di poi non ha regalato capolavori da ricordare.
Forse solo La dea dell'amore, per quei canti greci.
Sto parlando di Woody Allen, a un passo dalla sua versione a zonzo per l'Europa, pronto a girare di capitale in capitale, da Roma a Parigi, da Londra a Barcellona (che sì, capitale non è).
Siamo in un decennio che lo ha visto cambiare società di produzione e pure collaboratori, in cui la vita privata è stata scossa dal primo degli scandali.
Ma questo non verrà mai menzionato da Jean-Michel Frodon, giornalista e critico per Le Monde, che ha avuto il privilegio di intervistare Woody anno dopo anno, puntuale all'uscita di ogni suo nuovo film. Accumulate ore di conversazioni, con il cambiamento alle porte e già avvenuto, Frodon decide di raccogliere tutto in un libro-conversazione: il già pubblicato e il rimasto fuori, mettendo insieme domande e risposte, catalogandole per tema a coprire ogni fase della realizzazione di un film.
Ne esce un piccolo compendio per capire meglio Woody e il suo cinema, ma anche Hollywood tout-court. Uno di quei libricini che fanno la gioia degli studenti universitari, che è servito a me come cuscinetto per uscire dalle follie di Kaufman prima di entrare in nuova ossessione.
La prossima settimana, ne saprete di più.



Dentro, a sorpresa, non c'è l'ironia del Woody personaggio, non ci sono le sue ansie, la sua parlantina, le sue stoccate e le sue battute sagaci. 
No. 
C'è Woody in persona, serio e puntiglioso, ligio e preciso nelle risposte come nel cercare di dare un senso al suo percorso.
Un Woody che senza saperlo, si definisce un Abed, un uomo che guarda alla realtà con il filtro del cinema. Per questo la sua Manhattan è silenziosa, in bianco e nero, fuori dal tempo, senza traffico o rumore.
Regista che si associa in automatico a New York, ma regista che si sente profondamente europeo, ispirato da Bergman in primis. Regista con una libertà di produzione non indifferente, a cui si concedono flop e successi, rischi e quel film all'anno che lui stesso prende come da sempre la vedo io:

Non vorrei mai assomigliare a Stanley Kubrick, che era un cineasta geniale ma faceva un film solo ogni sei o dieci anni. Ogni volta si trattava di un grande avvenimento. 
La pressione era enorme: ogni sua nuova opera doveva essere assolutamente un capolavoro. 
Per me una situazione del genere che spinge all'estremo la logica del successo o del flop, 
sarebbe un incubo. 
Preferisco essere come il beaujolais, c'è una produzione annuale e la gente può dire: 
"Quest'anno era buono" 
oppure 
"Questa vendemmia è un po' deludente".
Al che posso sempre rispondere: 
"Benissimo, magari vi piacerà di più la prossima annata".

Ci si sofferma sulla produzione, gli aspetti tecnici, la scelta del casting e delle location.
Il soggetto e la sceneggiatura, con le tante idee nel cassetto che vengono pescate anche per esigenze economiche: questa richiederebbe troppi soldi? Ok, allora si fa questa più economica e di più probabile successo per poi avere i fondi per realizzare le prossime.
Come un artigiano, Woody si muove consapevole delle sue possibilità, dei suoi limiti e di quello che i suoi film devono fare. 
Un workaholic, o semplicemente un uomo che non saprebbe che altro fare e che ama quello che fa.
Non si occupa di marketing (esemplare l'esempio di Criminali da Strapazzo prodotto dalla Dreamworks con un approccio più mirato e un ritorno al botteghino ragguardevole), non si occupa di burocrazia. Scrive, va sul set, monta in pochissimo tempo i suoi film e passa a scrivere il prossimo.
Una vita ideale?
Quasi.
Molto meglio che arrovellarsi per anni con lo stesso progetto, molto meglio assecondare una testa che sforna idee magari non tutte geniali, magari non tutte perfette, ma che le sviluppa, si sfoga.


Quello che si respira è quindi un Woody che si conosce e che sa quello che vuole.
Che non si cruccia se quell'attore non può esserci, che non ritarda la sua produzione ad aspettarlo, che trova sempre chi con lui vuole collaborare.
Ora che il futuro per lui si prospetta meno roseo, questa Conversazione sembra più datata del previsto.
Ora che i suoi stessi figliastri lo hanno messo alla gogna, troverà ancora star disposte a compromettersi lavorando con lui o finirà in una bolla di sapone, in ammende e scuse postume come già fatto da Chalamet e la Winslet?
Nel mentre, questa lettura l'avevo programmata nella settimana del suo ritorno al cinema, ma il suo Rifkins Festival è bloccato e posticipato a quando sarà sicuro tornare nei cinema.
Pure questo rende meno attuale la lettura, in cui mancano i suoi film più belli, quelli a cui sono legata dopo gli intramontabili Io e Annie e Manhattan.
Sì, sono proprio fuori tempo. 
Passatista.
E la settimana prossima lo sarò ancor di più.

2 commenti:

  1. Ho l'autobiografia, leggo direttamente quella. Meglio. :)

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    1. Direi di sì, fuori tempo massimo e pure dedicata alla decade meno ispirata e conosciuta. Ho sbagliato tutto.

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