Se pure una fifona patentata come me si è avvicinato con il tempo all'horror è perché il genere non offre solo salti di paura, incubi notturni o notti in bianco.
Non offre nemmeno solo storie di mostri, fantasmi, case infestate e possessioni trite e ritrite, ma nei suoi moment migliori, nei suoi titoli migliori, sa leggere l'attualità, la realtà, e attraverso gli spaventi, le paure, farci riflettere.
Scopro l'acqua calda, lo so, ma concedetemi il mio momento di redenzione.
Si può parlare di cinema stesso (Scream), di violenza sulle donne (Invisible Man), di nostalgia e di amicizia (IT) o di relazioni tossiche (Midsommar), di elaborazioni del lutto (Hereditary) e di razzismo (Get Out), e infine pure di immigrazione.
Lo fa il film sorpresa del momento, inserito senza troppo clamore nel catalogo di Netflix, ha poco a poco convito i più appassionati per poi esplodere fra i più consigliati.
His House parla di immigrazione e di integrazione, parla di incubi e fantasmi, di orrore e di dolore.
Parla di una coppia richiedente asilo a cui viene assegnata una casa, in Inghilterra. Una casa fatiscente se pur più grande di quella degli assistenti sociali che li seguono, una casa in un quartiere popolare e malfidente, una casa che sembra essere già abitata.
Dai fantasmi che Rial e Bol si sono portati dietro dal Sudan, dai morti che hanno visto e con cui stavano navigando, da quelli lasciati nella loro Terra, martoriata e insanguinata, compreso quello di un figlio, che tormenta e non lascia in pace.
Se Bol vuole integrarsi, vuole darsi da fare, vuole andare avanti rinnegando le sue visioni e le sue paure, Rial ci convive e da quella casa fatica ad uscire, fatica a dimenticare.
Come si fa, allora, a inserirsi, a cambiare lingua, modo di mangiare, in un Paese ostile?
Cosa fa più paura: quello che si è visto fra sangue e cadaveri o quello che solo si sente, un razzismo silenzioso, una violenza sempre latente?
Cosa terrorizza di più: l'aver perso amici e parenti o doverli affrontare mentre si nascondono fra i muri e dai muri escono?
Mescolando credenze popolari, religione e stregoneria, His House ha un carattere e uno stile unico nel parlare dell'attualità attraverso un genere diverso.
Se ci provano da sempre i documentari, i film drammatici, quelli impegnati a mostrare la difficile integrazione di chi arriva con poco dopo aver vissuto troppo, questi incubi si tingono di rosso, di paura, senza per questo risultare meno importanti.
Remi Weeks alla regia regala così immagini forti e potenti, effetti speciali onirici, chiusi in quella casa dalla carta da parati fatta a pezzi, fra porte strette che racchiudono un mondo, e un finale che colpisce duro.
Se Wunmi Mosaku (vista pure in Lovecraft Country) e Sope Dirisu sono i nomi da tenere d'occhio, la quota "nota" è coperta da Matt Smith, assistente svogliato ma partecipe.
I brividi e la pelle d'oca si susseguono per gli spaventi e per quel che Rial e Bol devono affrontare, in una commistione di impegno e di generi che non può che essere applaudita.
Voto: ☕☕☕½/5
A sorpresa, mi ha tanto commosso.
RispondiEliminaLoro bravissimi, e il loro segreto mi ha fatto a pezzetti.
Il loro segreto, bisogna proprio dirlo: è un pugno allo stomaco.
EliminaD'accordissimo con tutto e anche col commento di Mr Ink. La premessa della recensione tra l'altro è uno dei motivi, insieme a un certo gusto per il macabro, per il quale l'horror è il mio genere preferito.
RispondiEliminaSono contento! Leggo bene anche di Tigers are not afraid, spero di non sbagliare. Storia dell'orrore di messicani in fuga e muri di confine...
EliminaIo mi ci sono avvicinata tremante e in punta di piedi, ma mi rendo sempre più conto che quando fatto bene, quando si racconta altro oltre semplici spauracchi, regala film bellissimi.
EliminaIl messicano intriga, anche per quel che sembra mostrare.
Mi ha convinto come dramma sull'immigrazione, mentre la parte horror non molto. Mi è sembrata un qualcosa in più, forse non del tutto necessaria, anche se mi rendo conto che è la particolarità del film stesso.
RispondiEliminaÈ la sua particolarità e per me si incastra bene visti le credenze e i riti a cui appartengono i protagonisti. E poi, finalmente, si parla di immigrazione in modo diverso e quasi più diretto dei tanti documentari che vengono evitati dai più.
EliminaEsatto, colpisce e disorienta, si fa serio ma pure da brividi... in tutti i sensi possibili.
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