Andiamo al Cinema
Ruben Östlund è uno che ci sa fare.
Inanella uno dopo l'altro titoli importanti che parlano della nostra società, dei suoi aspetti, criticandola in modo intelligente e originale.
È un regista che, nel giro di 5 anni, è riuscito a portarsi a casa due volte la Palma d'oro a Cannes. Da svedese, un record.
Se nello strano The Square ci immergeva nello strano mondo dell'arte, fatto di performance e di ego molto ingombranti che tagliavano fuori lo spettatore, con Triangle of Sadness fa un passo avanti nella stessa direzione, mostrandoci il luccicante mondo della moda, dei modelli, degli influencers e di chi è talmente ricco da non badare alle conseguenze in una trama più lineare e facile.
Ma non banale.
E così va da sé che i bellissimi Carl e Yaya dibattano a tavola di conti da pagare, del ruolo dei soldi nella distinzione dei generi. Va da sé che in uno yatch extra lusso -nella realtà, quello di Aristotle Onassis e Jackie Kennedy- queste ricchezze delle apparenze si incontrino con russi che vendono letteralmente merda, snob inglesi che commerciano morte, il tutto sotto un capitano marxista alcolizzato e una manager di bordo che cerca come può di tenere le cose al loro posto.
Ma la fine del secondo atto mostrerà come il mare rimetta al loro posto tutti i pasti e tutte le persone coinvolte, in un tripudio di fuoriuscite non facili da reggere per chi è debole di stomaco, per poi ritrovarci lì dove la letteratura più volte ci ha portato: in un'isola deserta dove le classi sociali si mescolano e la leadership cambia quando in gioco è la sopravvivenza.
Tre atti, insomma, come nelle migliori delle tradizioni, che mettono a nudo la società dell'apparenza, l'intelligenza selettiva della ricchezza, la livella sociale che non guarda in faccia nessuno, in pieno mare. Creando poi alleanze e baratti dove è ancora una volta la bellezza ad essere merce di scambio.
Così, la bellezza umana di Harris Dickinson rende il suo Carl più accettabile del dovuto, viste le fragilità economiche e di insicurezza che nello stare al fianco della super modella Charlbi Dean deve affrontare. Loro sono il cuore della storia che vede in Woody Harrelson il beone che non ti aspetti, a dare vita a un dibattito politico in alto mare che aumenta la nausea.
Östlund dimostra di saperci fare, si diceva.
Non solo costruendo una sceneggiatura che fin dal casting di modelli in posa Balenciaga o in posa H&M dileggia la società capitalista, infarcendola di frecciatine che fanno sempre centro, ma con la sua regia spazia fra così tanta bellezza rendendo a suo modo poetica anche l'evacuazione di emergenza dei vari passeggeri.
Cosa non da poco.
In alto mare o spiaggiati a rivivere gli incubi del Signore delle Mosche, in questo caso declinato al femminile, The triangle of sadness dimostra la bravura di un regista capace di registrare e mettere sotto la sua lente ironica il più luccicante dei mondi.
Che sotto il sole, brucia in fretta.
Voto: ☕☕☕½/5
Ruben Östlund sempre spiazzante.
RispondiEliminaQuesto suo nuovo l'avevo già adocchiato a Cannes, non me lo perderò!
Cannibale al punto giusto da poter essere il tuo nuovo header, sono pronta a scommetterci!
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