Mondo Serial
Tra maschere e misteri, segreti e colpi di scena, tre serie TV che sono riuscite a sorprendermi:
Chad Powers
Quando la promettente carriera di un giocatore di football si interrompe bruscamente non per un infortunio ma per un imperdonabile errore sul campo e una reputazione che sembra macchiata per sempre, cosa si può fare?
Se il giocatore in questione si chiama Russ Holliday, se ha la faccia tosta tipica dei personaggi di Glen Powell, se per padre ha un truccatore candidato agli Oscar, beh, può camuffarsi e provare a ricominciare la carriera con un'altra faccia, con un altro nome, in un altro Stato.
Chad Powers sorge così dalle ceneri di Holliday, un po' per provare a se stesso di avere il potenziale del grande giocatore, un po' per tornare su quel campo dove non è più ben voluto ma dove si sente a casa.
Parte come uno scherzo, e parte dal vero scherzo di Eli Manning in una trasmissione TV, per diventare altro e se Powell nasconde la faccia (ma non i muscoli), ci mette la firma, e come già in coppia con Linklater, assieme a Michael Waldron approfondisce il tema dell'identità e del doppio, di come percepirsi mentendo a se stessi e agli altri, e di quante maschere -reali o mentali- si portano.
Chad Powers diventa così una serie TV con molto potenziale, fuori e dentro dal campo, lasciando spazio a personaggi secondari come l'immancabile figlia dell'allenatore e allenatrice a sua volta con cui provare, forse, del vero amore mentre è chiamata a darsi da fare il doppio rispetto agli altri vice-allenatori, e l'aiutante/mascotte che chiede di essere un vero amico e non solo un semplice aiutante. Muovendosi dentro allenamenti pericolosi e interviste impossibili, Chad Powers diventa un personaggio buffo e ingombrante e geniale, con quel trucco che può cadere da un momento all'altro, quell'accento marcato, quella personalità indecifrabile, con la fragilità di una maschera che è anche quella di una certa mascolinità sportiva, mentre la serie TV riesce a dribblare facili cliché, sorprendere fino al finale, e pur lasciandoci fuori da sequenze sul campo dispendiose, riesce a regalarci i conflitti sportivi negli spogliatoi, nei ritiri e soprattutto in una trasferta al cardiopalma.
Breve, quasi troppo, in questa sua prima stagione in attesa di conferma, è l'ennesima dichiarazione di Glen Powell di essere più di un bel faccino e di un corpo da urlo, che non disdegna il mettersi in gioco, il nascondersi, il divertirsi, con una comicità fisica, certo, ma più profonda di quel che ti aspetti.
Wayward
Era tra le novità Netflix che temevo.
Tutto (il paesino sinistro, la scuola per riformati, la preside inquietante) gridava "sono scritta dall'algoritmo!" e quindi non meritevole del mio tempo, con quel titolo poi a ricordarmi la grossa delusione che era stata Wayward Pines.
Invece a Mae Martin ho voluto dare una chance, memore di Feel Good, che mi aveva convinto a metà, ma consapevole che la sua voce era interessante.
Nel mentre, ha cambiato genere, e non parlo solo del comico.
Nei panni di un poliziotto transgender che si è appena trasferito con la moglie incinta nell'apparente idilliaco paesino di Tall Pines si ritrova a indagare sulle scomparse e sui metodi educativi di un Istituto in cui giovani vengono trattenuti e sfidati e riprogrammati.
Sono ovviamente le disavventure dei ragazzi a interessare davvero, quelle delle amiche Leila e Abbie, soprattutto, assieme nella rivolta, a capo di una rivolta, per riprendersi la propria identità e la propria libertà. Con un lutto che è un trauma da superare, e quindi da rivivere.
Tra rospi psichedelici, lavaggi del cervello e tentativi di fuga, la scrittura riesce a non essere banale, a costruire misteri, a lasciare sospesi nel finale che chiede di andare avanti. Certo, ci sono forzature, ci sono ripetizioni, c'è una Toni Collette di cui è impossibile fidarsi e una Sarah Gadon che ha zero chimica proprio con Mae Martin, ma a sorpresa Wayward si lascia guardare, stuzzicando tra episodi flashback, escursioni in montagna e parti imminenti e personaggi secondari facili da odiare, ma perlomeno non troppo bidimensionali.
Peccato che tutto crolli in un finale che non sembra sapere che strada prendere, probabilmente per lasciarla aperta a una seconda stagione mai prevista davvero o perché non si sapeva che altre carte pescare.
La salvo con riserva, anche solo per le musiche, anche solo per il lieto fine che un cane si meritava.
Gen V - Stagione 2
È una seconda stagione o una quarta-B?
Sempre difficile incastrarla e definirla questa costola di The Boys che ne prosegue le gesta e si interseca al racconto principale.
Perché le rivolte di Starlight arrivano anche alla Godolkin Academy, perché i giovani che hanno scoperchiato i segreti della Vought, dalla prigione in cui erano stati confinati sono tornati, vuoi per grazia ricevuta, vuoi per perdono momentaneo, vuoi principalmente perché il nuovo Preside Cipher vuole tenerli d'occhio.
Anche a questo giro, in un mondo pieno di spie e di possibilità di essere spiati, fa strano vedere come i nostri giovanissimi eroi riescano a muoversi senza essere scoperti dentro case e dentro passaggi segreti, ma se lo pensiamo come un grande piano malvagio di quel cattivone di Godolkin, allora va già meglio.
Purtroppo rispetto a appena due anni fa, la serie sembra aver perso del brio, e nel mentre ha perso anche l'attore Chance Perdomo, ricordato e salutato nel migliore dei modi. Un plauso agli sceneggiatori per averci evitato cloni, maschere o gemelli diversi.
La prima stagione sapeva osare di più non tanto con le scene eccessive e esagerate di superpoteri imbarazzanti (quelle ci sono ancora, e tornano pure utili sul finale), quanto sull'unità di questi eroi indecisi che sono ancora degli adolescenti alle prese con piani più grandi di loro.
Una fantomatica leggenda che si lega al passato di Marie Moreau e di Homelander viene piazzata per il gusto di darci del succoso, che di per sé del destino di una scuola rispetto a quello dell'umanità intera, ci importa poco.
Per fortuna c'è Emma, che salva con le sue uscite comiche, con i suoi siparietti divertenti, una tensione non sempre palpabile e piani non proprio a prova di bomba.
Per assurdo, il grande cattivone viene eliminato in modo rapido e piuttosto indolore, con una facilità quasi disarmante e in fondo un filo prevedibile. Ora tutto sembra convogliare verso l'ultima stagione di The Boys dove finalmente finiranno anche le sofferenze dei fan del fumetto, ma anche di chi un po' di entusiasmo l'ha perso strada facendo. In fondo, dopo 5 stagioni, o forse 7 o forse 5+2, era ora.
Sì, lo so che è già stato confermato un prequel e pure uno spin-off messicano, ma io scendo al prossimo giro.
Voto: ☕☕½/5



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