Quanto bene si vuole a Richard Linklater?
Un regista che zitto zitto se ne esce ogni anno con un nuovo film, piccolo e mai urlato, che è una delizia da vedere. Dopo i bagni di nostalgia di Apollo 10 e mezzo, eccolo impegnato con Glen Powell nel raccontare di un sicario.
Un altro assassino su commissione?
Dopo il glaciale ritratto di Fincher?
Sì, ma qui siamo dalle parti della commedia nera, che non si prende sul serio pur sapendo essere serissima, sotto sotto.
Anche perché il sicario in questione è un professore di filosofia, birdwatcher e gattaro, molto poco adatto al ruolo che però ci si cala alla perfezione per la polizia, con cui lavora part-time. Deve quindi farsi assumere e fare confessare clienti di ogni tipo, che vogliono vedere il partner, l'amante, i genitori, morti. Per loro studia il ruolo, si camuffa regalandogli il tipo di sicario che più gli si addice ottenendo ottimi e sbalorditivi risultati.
Ma che succede se l'amore si mette di mezzo?
Se una cliente viene dissuasa dall'usare i suoi servizi e finiscono entrambi per abusare di altri?
Quel professore si trasforma, prende sicurezza in sé, nelle sue capacità, finché il morto non ci scappa davvero.
Hitman gioca con il genere e regala risate intelligenti grazie a una sceneggiatura calibratissima che non lascia niente al caso, sexy e divertita, che affonda le mani nella filosofia psicologica. Ma inutile girarci attorno, è Glen Powell la vera star del film, trasformista e ammaliante, è perfetto per un ruolo che richiede molta inventiva, molta capacità espressiva.
Lui che ha prodotto e partecipato alla scrittura, tratta da una storia vera giusto un po' ricamata.
Arrivato fuori concorso come una ventata di leggerezza richiesta, questo nuovo Linklater in attesa dei progetti più lontani nel tempo, diventa un instant-cult, una di quelle commedie che sai di voler vedere e rivedere per cogliere ogni dettaglio, ogni comparsa.
Grazie, Richard.
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