Se mi è piaciuto il libro, il film non lo vedo.
Questa è sempre stata la mia regola: di fronte a storie che sapevo mi sarebbero piaciute più su carta, di fronte a libri di cui mi ero fatta un'idea precisa e che non volevo veder stravolta.
Certo, ci sono state eccezioni.
Vedi Anna Karenina, perché alla visionarietà di Joe Wright non ho saputo resistere, e ho fatto bene.
Vedi Il Grande Gatsby, perché alla visionarietà di Baz Luhrmann non ho saputo resistere, e ho fatto bene, e in più, di anni dalla lettura del classico di Fitzgerald ne erano passati così tanti che parte della trama l'avevo dimenticata.
Così è anche per Pastorale Americana (il perchè, questa volta, i titolisti italiani abbiano mantenuto la versione inglese, resta un mistero), il mio Roth preferito, il più completo e denso, letto ormai 7 anni fa e quindi finito nella nebbia dei ricordi in cui vivono solo quelle sensazioni di bellezza, complessità, immersione.
A metterci del suo, poi, anche il regista. Questa volta non un visionario, ma un esordiente.
Ewan McGregor si è preso il difficile compito non tanto di sostituire Philip Noyce dietro la macchina da presa, ma di prendersi carico di un adattamento piuttosto difficile e corposo, e decisamente amato.
Il risultato?
Promosso.
A colpire, prima di tutto, prima della storia, è la ricostruzione dei rivoltosi anni '60 attraverso costumi, musiche, arredamenti... insomma, l'atmosfera.
A colpire, poi, sono i necessari tagli alla complessità del libro, mettendo da parte non solo le spiegazioni tecniche sulla manifattura dei guanti nella Newark Maid, ma anche il passato scolastico dello splendido Levov detto Lo Svedese, il sottotesto ebraico, e soprattutto il respiro più generale, di un'epoca, di un momento storico, che qui sì, rivive attraverso filmati di repertorio, ma che fa da necessario contesto a quello su cui Ewan e la sceneggiatura di John Romano si soffermano: il dolore di un uomo, un marito, un padre, la disgregazione del suo paradiso, delle sue credenze.
Non per questo però viene modificata la struttura di quel libro, con lo scrittore Zuckerman a fare da narratore, con la storia dello Svedese, il bellissimo, fortunato Svedese a cui la vita sorrideva vista da lui come un'emblema.
C'è poco spazio però per i momenti felici di una famiglia perfetta e bellissima, perché la Storia bussa alla porta dei Levov, e ha il suono fragoroso di una bomba, che esplode improvvisa, all'alba.
Da qui inizia la vera storia, il suo sgretolamento, con il fantasma di una figlia problematica, fragile e allo stesso tempo combattiva che infetta quella perfezione, quella pastorale.
L'esordio alla regia di McGregor è di quelli asciutti e solidi, si respira la serietà, il peso, del progetto. E lo si fa attraverso quella ricostruzione storica di cui sopra, e attraverso tagli e inquadrature che danno il senso di quel peso.
Nonostante il doppiaggio non proprio perfetto (soprattutto nei momenti balbettanti e tartaglianti), si vede la bravura degli interpreti, con gli occhi di Ewan che poco a poco si spezzano, come il suo cuore, con la bellezza di Jennifer Connelly che non sfiorisce, anzi, riempie la scena, ingombrante com'è per quella figlia che non la sa sopportare.
La perfezione di questi genitori, di questa famiglia, con una coppia che difficilmente potrebbe essere più bella, non oscura però la stella splendente di Dakota Fanning, una Merry piuttosto odiosa, ma anche tragica.
Stare a fare paragoni con il libro non serve, soprattutto se o non lo si è letto o come me lo si è in parte dimenticato, American Pastoral si concentra su un uomo, su una donna, su una figlia, sul loro modo diverso di elaborare il dolore, quello personale, quello del mondo.
E lo fa bene, catturando solo in parte un'epoca complessa e difficile, ma riuscendo a trasmetterci la sofferenza di una famiglia che non poteva essere più distante da una pastorale.
Regia Ewan McGregor
Sceneggiatura John Romano
Musiche Alexandre Desplat
Cast Ewan McGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning
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Anche io sono un fan di Ewan da sempre, quindi sarà difficile restare obiettivo di fronte a questo film.
RispondiEliminaVedremo... comunque il tuo giudizio lascia ben sperare. ;)
Come si fa a non amarlo Ewan? Qui dimostra di saperci fare abbastanza dietro la macchina da presa, considerando che comunque è entrato in un progetto non suo ma già avviato, lo si promuove.
EliminaAnche nel mio caso - con Moulin Rouge e Big Fish che sono, forse, tra i miei film preferiti -, McGregor è sempre gradito. Qui la scelta è azzardata, ma mi rassicuri. Oltretutto, anche le due colleghe mi piacciono altrettanto. ;)
RispondiEliminaSe si mette -giustamente- da parte il gran romanzo da cui è tratto, resta un film solido con una storia che in piccolo diventa metafora del grande. Tutti e tre sono bravissimi, spiace per le critiche troppo severe lette qua e là.
EliminaIo lo promuovo... a metà! :) diciamo con la sufficienza piena. Per essere un film d'esordio il risultato è dignitosissimo e gli attori sono tutti molto, molto bravi (con menzione speciale per Jennifer Connelly, sempre CLAMOROSAMENTE BELLA, non me ne capacito!). Però, insomma, si vede che è un'opera prima e che c'è parecchia insicurezza da parte del regista: McGregor si limita a trasporre il libro mettendoci poco di suo e "asciugando" fin troppo la storia, che alla fine secondo me finisce per assomigliare più alla vicenda privata di una famiglia che a un'affresco impietoso di una nazione (ecco, in questo "Il Grande Gatsby" di Luhrmann è anni-luce superiore).
RispondiEliminaComunque, ripeto, nel complesso un buon esordio e un film godibile, degnamente confezionato.
Tenendo conto che McGregor è entrato a progetto già avviato, sostituendo un regista e con una sceneggiatura già pronta da anni, sono soddisfatta del risultato.
EliminaCerto, il libro era altro, ma era anche così ampio nel suo raccontare che la scelta di prendere la storia famigliare come metafora, ha garantito unità al discorso.
Come esordio, poi, fa ben sperare per un futuro dove Ewan possa curare anche altri dettagli del film, la stoffa c'è :)