29 agosto 2019

Venezia 76 - Pelikanblut

Inizia come il peggior incubo per una madre: una figlia che non si sa controllare, educare, che non risponde all'amore.
Finisce con un altro incubo, che ha le tinte dell'horror e dei demoni.
In mezzo, la lunga caduta di una donna forte. Wiebke, che gestisce un maneggio, che sogna di allargare ad hotel, che condivide la sua fortuna, il suo buon cuore, adottando ancora. Ha già Nikolina, ora devono andare a prendere Raya. Ma è diversa. È chiusa, silenziosa. Meschina, cattiva, violenta. E peggiora sempre di più. Spaventando entrambe, facendosi espellere dall'asilo, mandando quella madre fuori di sé.



C'è una malattia mentale dietro.
C'è un trauma soprattutto degno di Dexter. Ma Wiebke non ci sta ad abbandonarla ancora, nemmeno alle cure di un centro specializzato. Vuole riuscire lei a ritrovare quella bambina felice, scacciare quel demone che la possiede.
Così, da dramma familiare intenso, Pelikanblut diventa un thriller in piena regola, dove a spaventare è una bambina bionda tutt'altro che angelica. E ad irritare è una madre che non demorde, perdendo così un'altra figlia, la stabilità e forse pure l'amore, i suoi cavalli. Con una metafora ben precisa sulla dominazione.
In questo vortice che risucchia, il pensiero va ad Hereditary, alle sue due parti non equilibrate, alla figura di una madre destabilizzata.
Il confronto regge. Anche se Katrin Gebbe non è Ari Aster.
Il finale farà arrabbiare i medici di turno, ma ha in sé un'intensità difficile da scrollarsi di dosso.

2 commenti:

  1. Questo sì! Potrebbe essere uno di quei film oscuri, destinati a non avere una distrubuzione nelle sale italiane, che fan per me. :)

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    1. Film davvero strano, parte in un modo, prende una piega inaspettata. Forse esagera ma sa come avvincere e quella bambina sa mettere davvero paura.

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