Erano le 16.37 del 12 dicembre 1969. Dopo un caldo autunno
fatto di bombe innocenti su treni e stazioni rivendicate da gruppi anarchici in
tutta Italia, una bomba, molto più grande e molto meno innocente, esplose alla
Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano.
Le vittime furono 17, molti di più i feriti.
Romanzo di una strage parte da questi fatti per analizzare
le indagini che seguirono, con altrettanti morti e colpe sospette (prima fra
tutte quella dell’anarchico Pinelli) cercando una verità che fatica a farsi
scoprire.
Come suggerisce il titolo, il film è costituito come un
romanzo, fatto di capitoli e di trame che vanno col tempo ad intrecciarsi: i
capi di stato che muovono le fila, gli anarchici e gli estremisti di destra che
si fronteggiano e che vengono spiati e fuorviati nelle loro mosse, le indagini
alla ricerca dei colpevoli che passano per Milano, per Roma, per Treviso e per
Padova. Affianco a tutto ciò la figura del commissario Calabresi emerge, come
centro del film, con i suoi dubbi e le sue perplessità su una giustizia che non
sembra più essere giusta, con la sua fame di verità ma anche con la paura e l’amore
per la famiglia. Proprio con la sua morte, simbolo in qualche modo dell’egemonia
della violenza, ha fine questo romanzo. Ma la parola fine, dopo 43 anni, non è
ancora stata pronunciata.
Marco Tullio Giordana conferma il suo essere regista
impegnato e storico, che attraverso le sue opere vuole riscoprire e far
scoprire un passato che non deve essere dimenticato. Dopo il sentito ricordo di
Peppino Impastato ne I cento passi, la fotografia generazionale dei giovani d’Italia
ne La meglio gioventù e la rivalutazione storica degli attori Valenti e Ferida
in Sangue Pazzo, sofferma questa volta il suo occhio in piazza Fontana.
Ad aiutarlo un cast di attori che comprende i grandi nomi
del nostro cinema: Favino interpreta un sofferto Pinelli, a cui il film rende
omaggio, Mastandrea è Calabresi, Laura Chiatti sua moglie, Luigi Lo Cascio il
giudice Paolillo, Fabrizio Gifuni un incredibile Aldo Moro.
L’interpretazione di tutti è attenta e trattenuta, resa
ancora più veritiera dal gran lavoro dialettale.
La fotografia e i dettagli storici sono ancora più curati, a
conferma che, se vuole, il cinema italiano sa essere davvero grande e sa restituire
giustizia laddove ancora questa non c’è.
non è male, ma a confronto con altri film di Marco Tullio Giordana, è un opera minore, ha fatto sicuramente di meglio :)
RispondiEliminaEh sì, ultimamente si è un po' lasciato andare. Tema importante ma realizzazione più discutibile!
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