Viviamo in un mondo in cui la magia non c’è più.
In cui alla magia nemmeno si crede. Troppo adulti, da sempre, per cascarci, troppo presi da altro, dall’avere, dal possedere, per fingere, per illudersi dietro un’illusione.
In questo mondo, un mago che è un’illusionista, non trova posto. Non trova posto a Parigi dove il pubblico scarseggia, gli applausi pure, non trova posto a Londra dove la musica, i giovani, hanno il sopravvento, non trova posto in ricevimenti altolocati, dove solo il beone di turno gli dà corda, non trova posto, lui, se non nel cuore della Scozia, in un piccolo Paese abitato da gente piccola ma di cuore, gente che sta a contatto, che si diverte, gente che cerca un po’ d’amore.
Come quella sguattera, che brutto termine, che dalla magia resta incantata ma che della magia si fa un’idea tutta sua, un’idea che equivale a possibilità, a ricchezza, con i desideri che crescono di pari passo. Lo segue, questa giovinetta, quell’illusionista, lo segue in una Edimburgo in cui la magia non trova posto, si stringe, tutta assieme, e si reinventa in una palazzina diroccata, dove trovano rifugio trapezisti e mimi e ventriloqui, e quell’illusionista, pure, che continua ad illudere quella giovine con la magia che non è magia, ma sono sotterfugi e lavori altri per permetterle di sognare ancora, di avere e possedere. E queste illusioni funzionano, funzionano così bene che lei sogna, sogna ad occhi aperti, e trova l’amore, lasciando solo un illusionista che si è illuso, la cui magia più grande vede solo in parte compiuta. E se ne va, ancora una volta, dovendo fare i conti ancora e ancora con gli occhi dei bambini senza più meraviglia, con la magia che sembra non esistere più, proprio come i maghi.
Fortuna però che esiste il cinema, che permette il realizzarsi di questa magia e di una sceneggiatura vecchia di 55 anni, una sceneggiatura malinconica di quel genio di Jacques Tati, dedicata a una figlia dal passato strano, una figlia che è il cuore della storia, nonostante quella giovinetta non ispiri troppa simpatia.
I tratti, lievi e delicati, bellissimi e semplici come piacciono a me, quei disegni che prendono vita senza bisogno di parole, di dialoghi, ma solo della musica, che fa da contrappunto e accompagna, sono il fiore all’occhiello di una produzione francese arrivata agli Oscar e solo con immenso e imperdonabile ritardo è arrivata a me, che sì, mi aspettavo più magia, ma che da questa malinconia tutta francese non potevo che rimanere conquistata.
Regia Sylvain Chomet
Sceneggiatura Sylvain Chomet
Musiche Sylvain Chomet
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Appuntamento a Belleville, Inside Out, Il bambino che scoprì il mondo
Ah, come mi piace quest'animazione qui.
RispondiEliminaIn un periodo di noia come questo, senz'altro recupererò. ;)
Amaro e malinconico poi, come piace a noi. Una bella scoperta, in lista da una vita come il suo gemello a Belleville.
EliminaL'ho visto un po' di tempo fa e non era affatto male, anzi, l'animazione francese poi è davvero unica, sempre con un bellissimo sottotesto a cui si aggiunge una qualità eccezionale ;)
RispondiEliminaPure la loro animazione non é certo solo per bimbi, anzi, e poi hanno mantenuto quei tratti e quella grafica che tanto mi piace.
EliminaCome sai, non sono un enorme appassionato di cinema d'animazione.
RispondiEliminaDopo essermi innamorato de La mia vita da Zucchina, però, potrei fare un altro tentativo con i cartoni francesi. :)
Sei sulla buona strada della redenzione, e l'animazione francese può solo che aiutarti a proseguire nel cammino ;)
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