La Mini-Settimana Horror
Una rilettura di una fiaba classica, dal punto di vista del cosiddetto cattivo.
Una rilettura che mette in luce le ombre di quel cattivo, che forse così cattivo non era, era semplicemente ferito.
Sembra un'operazione degna della Disney, per cui i cattivi, ora, non possono più essere semplicemente cattivi. Sembra un'operazione che deve andare a spremere ogni personaggio e ogni aspetto di una storia di cui si detiene i diritti senza lasciare allo spettatore un minimo sforzo di immaginazione o accettazione, sul fatto che la cattiveria può esistere senza moventi.
Invece, e per fortuna, si tratta di un film norvegese, che riprende la Cenerentola dei fratelli Grimm puntando soprattutto sui momenti più truculenti che quella fiaba orale aveva.
Operazioni estetiche, piedi che devono entrare nella famosa scarpetta persa al ballo, umiliazioni e trasformazioni qui diventano per - un modo per farci chiudere gli occhi, stringere i pugni, serrare i denti di fronte a nasi spaccati, dita mozzate, ciglia cucite.
E pensare che Emilie Blichfeldt la sua iniziazione al body horror l'ha avuta tardi, e a differenza della sottoscritta ha amato il Crash di Cronenberg che l'ha portata ad amare il sottogenere.
Non ci sono brividi, quindi, ma c'è molto di cui temere.
L'ossessione di Elvira, sorellastra della perfetta Agnes, per un principe che così azzurro non è, la porta infatti a modificare il suo aspetto, a ingollare un verme solitario che si ciba al suo posto, a sottoporsi a ogni genere di tortura pur di rispettare i canoni estetici richiesti e salvare dalla miseria la sua famiglia, con una madre che pensava di aver stipulato il matrimonio perfetto ritrovandosi invece presto vedova e sommersa dai debiti.
C'è un ballo, quindi, a cui prepararsi e in cui emergere.
Vista con gli occhi di Elvira, Agnes è altrettanto cattiva e senza cuore e troppo perfetta, lei che ha abiti meravigliosi, lei che ha già un'amante, lei che è sempre la prima della classe. Ma riusciamo a capirla, Agnes, orfana e prigioniera nel suo stesso castello, privata di un padre, di un'eredità, di un amore pure, ce può riscattarsi con quel ballo, con quel principe.
Ma non è più la sua storia fatta di una madrina fatata, di topi amici e di una zucca come carrozza.
La storia è quella di Elvira, della sua ossessione, dell'ossessione materna, degli sguardi degli altri da compiacere.
Con il cambio del punto di vista la fiaba ha più mordente, anche perché Emilie Blichfeldt mescola musiche contemporanee e una visione sognante di questa Norvegia forestale, in una fotografia pastello e fiabesca ad aumentare lo straniamento quando il sangue, il sesso, l'orrore, entrano in scena.
Il pensiero non può che correre a The Substance e non solo per la regia femminile, non solo per le due protagoniste e i loro corpi (Lea Myren, incredibile, Thea Sofie Loch Næss ma aggiungerei anche la matrigna Ane Dahl Torp), ma ovviamente per il messaggio che entrambi i film portano avanti: una critica alla società imperniata sull'aspetto fisico, sui canoni estetici impossibili da accettare senza umiliarsi, e ovviamente il ruolo delle donne, che sono corpi, sono oggetti, con la sola Alma a staccarsi da queste esigenze e farsi sguardo preoccupato aderente a quello di noi, pubblico.
Con facilità The Ugly Stepsister ha fatto parlare di sé l'internet e la blogosfera, e anche se il body horror è il sottogenere a cui sono meno affine, quando si fa nero e fiabesco, mi trova soddisfatta.
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Grado di paura espresso in Leone Cane Fifone: 2 Leoni su 5 |
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