19 ottobre 2018

Apostle

Andiamo al Cinema su Netflix

Sono sempre stata una persona corretta: scrivo di quel che vedo, rivedo ciò che mi sfugge, mi prendo il mio tempo se necessario.
Sono anche abbastanza intransigente, con visioni mai spezzettate come fossi davvero al cinema anche se nel salotto di casa.
Non si parla, non si fa pausa, non si guarda il telefono.
Non per Apostle.
Per Apostle ho sgarrato in tutte queste mie regole, a partire dalla fondamentale: non spezzettare.
Iniziato con il giovine, bloccato il tutto quando il sonno continuava ormai ad avvincere entrambi, per niente presi dalla trama, da quello che vedevamo, alla ricerca di un senso, di un qualcosa di non prevedibile.
Ripreso il giorno dopo, in solitaria, con il giovine ben felice di non recuperare le parti perse, di non proseguire in questo delirio.
E se il giorno prima le lamentele le esternavamo senza problemi, urlando contro lo schermo, contro un Dan Stevens che scimmiottava se stesso e il suo David Haller in Legion, da sola, presa dalla noia, dal menefreghismo più totale, mi sono persa in ricerche via smartphone, in aggiornamenti non necessari pur di sopravvivere alla visione.
Che, badate bene, non è terribile.
No, davvero.


Ma appartiene ad un genere, e da quel genere poco si distacca, non riuscendo a dare -personalmente- niente, non un briciolo di emozione, non un briciolo di terrore.
Il tutto si riassume in un fratello chiamato a salvare la sorella tenuta in ostaggio da una strana setta in una sperduta isola inglese. Siamo agli inizi del '900 e si parla di sacrifici, di terra arida, di strane presenze e creature assetate di sangue. Si parla anche di uomini di fede che si credono onnipotenti, e che con il sangue cancellano chi va contro di loro, il loro credo farneticante.
Ovviamente, Thomas si innamora della bella figlia del predicatore capo, ovviamente trova un alleato in un giovane innamorato di un'altra figlia di un altro predicatore che vuole essere il capo, e ovviamente lo scontro fra i due -unito alla ricerca di quella sorella- porterà all'aumento del sangue da versare.


A dare sostanza a questo tutto, visioni e deliri visivamente bellissimi, una fotografia che ci immerge nella natura e nel suo lato oscuro, una regia sapiente come poche (e basterebbe quel flashback giapponese a renderla tale) facendoci sì provare dei brividi.
A sostenere questo tutto, continui momenti d'orrore esplicito, con sangue, violenze, lotte e torture in abbondanza.
Materiale, insomma, che non fa certo per me, materiale che in mancanza di sentimenti che possano davvero legare ai protagonisti, non arricchiscono la visione, anzi, la appesantiscono.
Come vedere un Annientamento (sempre di ricerca e di strane contaminazioni si parla) privandolo però della componente umana e sentimentale.
E così, mi sono ritrovata a dare la mia attenzione altrove, a cercare altri stimoli, aspettando una fine che un po' si poteva intuire, che mostra ancora una volta Dan Stevens imprigionato nella gestualità di David.
Per una volta, allora, baro: non l'ho visto con attenzione Apostle, ma che così sia andata è già di per sé un giudizio.

Voto: ☕☕/5


2 commenti:

  1. Mi dispiace sia andata così. Per me, invece, accanto ad Annientamento, è uno dei film Netflix più interessanti su piazza. Affascinante, lercio eppure raffinatissimo, fa bene con i cliché che ha a disposizione. Peccato per Stevens, che ancora una volta trovo parecchio cane: quello sguardo inutilmente allucinato, questa volta, poco si presta a un personaggio che potrebbe essere uscito da Silence.

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    1. Il fascino ce l'ho trovato, ma vuoto e non capace di prendermi. Ho faticato fin dall'inizio, e se Annientamento aveva dalla sua la fragilità e i sentimenti della Portman, qui vuoi i cliché, vuoi Stevens versione Legion, ma niente mi ha dato.

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