4 gennaio 2020

Pinocchio

Andiamo al Cinema

Da un classico, a un altro.
Da un classico Disney come Frozen II, a un classico che Disney lo è stato.
Per la mia generazione, soprattutto, dopo lo sceneggiato Rai e prima di Benigni.
Ora, Garrone.
Che riprende quel Benigni che era Pinocchio e lo tramuta in Geppetto.
Che riprende il Pinocchio di Collodi e lo adatta minuziosamente.
Perché se Pinocchio è un classico, è stato prima di tutto un romanzo a puntate che a questo deve la sua natura fatta di capitoli, avventure, nuovi e strani personaggi che portano un burattino che vuole essere bambino sempre più lontano dalla sua casa, da suo padre, dalla retta via.
Sapendo questo, la natura del film di Garrone la si accetta un po' di più.
Che queste avventure slegate fra loro le adatta, le ripresenta, facendo leva su effetti davvero speciali, su una ricostruzione fantastica, grottesca e antropomorfa dei vari personaggi.



Stupisce allora come la storia possa passare in secondo piano di fronte alle prodezze di una fotografia, di costumi e di effetti speciali che incantano.
Che sembrano opere di grafica e di artisti, come già nel Racconto dei Racconti, con cui innegabilmente il rapporto è stretto.
Perché la storia è sempre quella.
Quella di un falegname scalcagnato che si ritrova padre, di un burattino che non sta alle regole, che preferisce il divertimento facile, tra un teatro di altri burattini, un albero dei soldi, un paese dei balocchi. Il bambino che non si vorrebbe avere, disubbidiente ma sempre salvato dagli altri o dalla fortuna.
Quello che chiunque si aspetta, c'è.
Ci sono il gatto e la volpe, ci sono burattinai dalla voce roca, c'è la fata turchina, c'è Lucifero e c'è la balena.
Poi ci sono personaggi minori -tate-lumaca, tonni depressi, pastori dal cuore d'oro- a completare un quadro che racconta di un'Italia piuttosto misera e fredda, pronta a fregare per un tozzo di pane.


Inutile nasconderlo però, in queste lunghe avventure si procede stancamente.
Annoiandosi.
Aspettando un finale che tarda ad arrivare, facendo la conta di chi altri manca a comparire.
Il problema è dell'adattamento di per sé, che alle soglie del 2020 -visto che il film appartiene ancora allo scorso anno- poteva essere meno fedele, più moderno.
Il problema è di attori che non ci mettono l'anima.
Non il piccolo protagonista -Federico Ielapi-, non i tanti comprimari -Gigi Proietti, Massimo Ceccherini, Rocco Papaleo, Marine Vacth.
Per fortuna, c'è Benigni.
Di cui non sono propriamente fan, ma che ha una sua naturalezza, un suo stare in scena, in cui il cuore lo senti palpitare, proprio come quello di un tronco fatato.
La forma, quella almeno, c'è tutta.
C'è come detto nella fotografia, nelle luci, nei costumi e nel trucco.
C'è nella scenografia, nelle ricostruzioni, nelle riprese.
Ma tutto questo non basta a rendere Pinocchio un film umano.
Non ad altezza di adulto, almeno.
Che sente e ricorda la favola di una volta, e resta quel riflesso pavloviano all'addormentarsi in fretta.


Voto: ☕☕½/5

10 commenti:

  1. Tonno a parte, nulla da dire sull'aspetto visivo. Ma l'ho trovato freddo e noiosetto anche io, per colpa di una storia ripetitiva e schematica tutt'altro che svecchiata. Garrone sempre un bel vedere, ma non serviva.

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    1. No, non serviva o almeno non così. Quasi didascalico, quasi un bel compitino. Fortuna che la luce, gli effetti, fanno la magia.

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  2. Pinocchio è una favola per ragazzi tutta particolare, perché il burattino incarna tutti i difetti degli italiani. Non credo che Collodi avesse l'intenzione di scrivere un trattato di pedagogia nascosto in un racconto fiabesco. E' la critica che ha evidenziato qualità particolari in "Pinocchio" e altri hanno scritto che Collodi era un massone e questa accusa mi sembra una menzogna.
    A me non piace annoiarmi e sicuramente non vedrò il film di Garrone.

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    1. Infatti anche in questo ennesimo adattamento, sono gli occhi dei bambini che rimarranno più incantati dalla storia. Gli adulti l'han già sentita.

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  3. Sarà forse ora di smetterla? Troppe le versioni di Pinocchio, tante che non so se riuscirò a vedere anche questo.

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    1. Con questo Garrone, troppo stretto dal testo, spero di sì.

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  4. A me è piaciuto molto. Trovo che il barocchismo di Garrone si adatti molto bene al materiale di partenza, e non mi sembra che gli attori (Papaleo e Ceccherini in primis) abbiano lavorato a scartmento ridotto. Verso la fine mi è sembrato un pochino troppo frettoloso e meno efficace a livello di effetti speciali, inoltre l'attrice/modella che interpreta la fata turchina "adulta" mi è sembrata fuori posto, ma nel complesso me lo sono proprio goduto. Il Racconto dei Racconti l'avevo invece trovato un po' noioso e fuori fuoco.
    PS: tonno, non luccio ;)

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    1. Come con i Racconti, ho amato la forma ma non la sostanza. Va detto che Pinocchio di per sé non è mai stata una favola che amavo, anzi. E qui, nel suo essere lungo e aderente, Garrone me lo ha ricordato.

      Ops, ho sbagliato pesce, corro a correggere, grazie!

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  5. Sono di parte, ovviamente (Pinocchio e Benigni per noi toscani sono due "istituzioni") ma non l'ho trovato assolutamente noioso, anzi... in certi punti (diciamo per tutta la prima parte) il ritmo è persino frenetico, forse troppo, dovendo ridurre un romanzo celeberrimo e complesso nelle due ore di durata. Però la storia è bella e universale, e il tocco garroniano si sente eccome: ci sono sequenze di horror puro (la trasformazione di Pinocchio e Lucignolo in asini) e di grande inquietudine (l'incontro con il Gatto e la Volpe ormai vecchi e malati) che ne fanno una bella parodia dei nostri tempi. Io lo promuovo a pieni voti.

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    1. Garrone ha fatto un ottimo lavoro, ma è proprio la storia di partenza che io non riesco a difendere, in tutti i suoi rimaneggiamenti, per quella sua vita a capitoli/avventure a sé.
      Diciamo che Benigni e l'aspetto tecnico mi hanno tenuta desta, ma è stato più spossante di quello che credevo.

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