15 aprile 2024

Il Lunedì Leggo - Il Grembo Paterno di C. Gamberale

Un tempo prendevo un romanzo di Chiara Gamberale come la leggerezza annuale che mi dovevo.
Quasi un guilty pleasure, senza essere troppo guilty perché in fondo non c'era da vergognarsi a leggere i suoi romanzi che parlavano di famiglie che si sceglievano, di finestre delle case degli altri, di storie personali rese pubbliche.
Poi, qualcosa si è rotto.
Forse io, come lettrice, ho iniziato a cercare altro.
Forse lei, come scrittrice, ha iniziato a raccontare atro.
A rivolgersi ad altri.
Parlando di donne sole e single che faticano a trovare l'amore, di coppie per cui si fatica a fare il tifo, di maternità, ancora e ancora.
Temi poco affini, un modo di trattarli che con me funziona ancora meno.
C'è chi ha fatto un business nelle sovracopertine a nascondere romanzi che ci si vergona di leggere in pubblico, e mi sono sempre chiesta com'è che se ci si vergogna, li si leggono.


Con Il Grembo Paterno ho capito che la rottura, e un certo grado di vergogna, hanno oltrepassato il limite: non sono più la lettrice di riferimento di Chiara Gamberale, non da quando è madre, non da quando la maternità è diventato un tema dei suoi libri, non da quando inizio ad alzare gli occhi al cielo per frasi che sembrano messe lì per essere trascritte sul diario o nella caption di una foto Instagram. Non quando i nomignoli degli innamorati, da sempre una delle cose più imbarazzanti in una storia d'amore privata, diventano pubblici.
È servito questo Grembo per farmene rendere conto, romanzo preso per quella promozione Feltrinelli che sempre invita, nonostante un copertina piuttosto discutibile.
Dovevo giudicarlo da quella, almeno questa volta.
Dovevo capirlo da una storia che parla di maternità, di problemi alimentari, di una storia complicata con un padre assente e traditore e una storia in cui l'amante diventa la figlia, il traditore l'uomo imperfetto che però si erge come quello giusto.
Di mezzo, a complicare le cose, anche la pandemia.


Andando indietro a raccontare di un'adolescenza problematica in cui la TV-verità fa capolino e un presente in cui una storia d'amore viene commentata dall'immancabile ciurma di amici eterogenea che è una nuova famiglia, si compone un romanzo che è un guilty troppo guilty per essere anche un pleasure.
Più andavo avanti, più mi rendevo conto che qualcosa si era rotto, lasciandomi indietro, a puntare su altro, ormai.
Ci si deve fare i conti anche in letteratura con i cambiamenti degli scrittori a cui si era fedeli.
Oggi finisce una storia, e anche se non c'è entusiasmo, non finisce mica il mondo. Meglio ricordarlo.

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