1 settembre 2018

Venezia 75 - The Other Side of the Wind | They'll Love Me When I'm Dead

Difficile spiegare l'emozione di trovarsi in una sala gremita, con lo schermo più grande possibile, a vedere un film che è stato in lavorazione negli ultimi 40 anni circa, molti dei quali però chiuso in un caveau.
Impossibile descrivere le sensazioni che serpeggiavano fra il pubblico, tra fan accaniti, cinefili di vecchia guardia e qualche ignaro turista, probabilmente. Insieme ad assistere ad un evento, a vedere quel film che Orson Welles non riuscì -per mancanza di finanziamenti, possibilità, coesione- a terminare.
A terminarlo c'hanno pensato i suoi amici più fidati assieme a fidati collaboratori (tra gli altri Bob Murawski e Peter Bogdanovich che nel film è anche attore in quello che sembra un ruolo a ricalcare proprio lui stesso), facendosi largo lungo tutte le bobine e il materiale di sceneggiatura che costella la leggenda dietro The Other Side of the Wind.



Ne esce un film capace di essere moderno e in linea con i suoi tempi, un film dal sapore profondamente autobiografico ma anche in grado di uscire dalla vita di Welles, un film di contrasti, in cui il documentario incontra la fiction, l'avanguardia europea le follie di Hollywood.
C'è un vecchio regista, scontento e incattivito, seguito con ammirazione da orde di giovani e aspiranti cineasti, che cerca di finire il suo film, un film improvvisato, che non ha copione, in cui non sembra succedere niente.
Così, da un lato vediamo i preparativi e i festeggiamenti per i suoi 70 anni, dall'altra proprio quel film, incompiuto, con il protagonista che dal set se n'è andato e i finanziamenti ormai interrotti. Quello che sappiamo, è che quel regista, Jake Hannaford, alla fine della sua festa morirà, che quello che stiamo vedendo sono i tanti punti di vista, le tante riprese effettuate durante la sua alcolica e schizofrenica festa -e ultimo giorno-, in cui amici e nemici di lui parlano, del suo progetto folle, del fare cinema di per sé.
Difficile è anche essere obiettivi con un film che sì, mostra di avere i suoi anni, anche se montato di fresco, ma che è impossibile da togliere dalla leggenda che lo circonda, e dalla vita che Welles ci mette dentro.

Lo è ancora di più dopo aver visto They'll Love Me When I'm Dead, documentario che racconta il dietro le quinte, gli intrighi e i problemi che Welles incontrò durante la sua realizzazione. Un documentario quanto mai necessario, che trova un senso, un significato dietro il film, dietro le frecciatine ironiche al suo interno, e tra interviste, materiale d'archivio splendidamente riassestato, diventa migliore di qualunque recensione/analisi si potrà mai fare.
Tutto sta nel montaggio, tutto sta nella vita e in chi ti circondi, sembrano ricordarci entrambe queste opere.
Il consiglio, allora, è di godere di quanto Netflix ci dà, partendo da quello che è un capolavoro perduto che trova la luce, e proseguendo con un altro capolavoro che non è semplice contorno, è -come si scopre alla fine- parte della sua essenza.
E a quel punto, l'unico modo per descrivere quell'emozione di cui sopra, sono lacrime che affiorano, riconoscenti e piene di ammirazione.

2 commenti:

  1. Si può dire peste e corna di Netflix, ma senza anche il suo contributo, quel film non sarebbe venuto mai alla luce. Che emozione vederlo in sala, spero che esca nei cinema. Nel caso dovesse esserci solo sulla piattaforma, meglio di niente, l'importante è che il film di Welles sia stato realizzato. <3

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    1. Esatto, un ringraziamento sentitissimo, anche da parte della famiglia di Welles. E non perderti il documentario, che è fondamentale è quasi più bello del film stesso ;)

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