26 ottobre 2018

Duck Butter

Andiamo al Cinema su Netflix

L'idea per il film:
Girare le 24 ore raccontate dalla sceneggiatura nell'ora esatto del giorno, facendo in modo di far combaciare luce ed effettiva temporalità con quanto deve avvenire.
Necessari 9 giorni di riprese.
L'idea per viaggiare nel tempo:
Intensificare come non mai un rapporto. Costringersi a vivere assieme 24 ore, dicendosi tutta la verità nient'altro che la verità.
Bonus: ogni ora fare sesso.



Parte così Duck Butter, parte così la storia fra Naima e Sergio (una lei) che si conoscono in un locale, lei agitata/preoccupata/demoralizzata per un ruolo importante che non sembra prendere la giusta piega, l'altra che cerca di sfondare, raccontandosi in canzoni in modo spontaneo e onesto. Si piacciono, raggiungono il primo orgasmo e decidono di non voler aspettare la solita trafila di appuntamenti/imbarazzi/anni che passano per scoprire di non amarsi, ma di buttarsi a capofitto nell'avventura di 24 ore assieme. Godendo nel mentre.
Facile immaginare che se l'inizio fra le due è promettente, se le confessioni, i sogni e i discorsi femministi vengono condivisi, poi arrivano i primi litigi, le prime ansie, le prime paure, pure, a minare questo esperimento.
Perché Sergio è proprio strana, artistoide com'è fin dal nome.
Perché Naima è proprio chiusa, incapace di lasciarsi andare, di dire davvero la verità. Chiudendosi a riccio, serrando le mani.


L'idea -del film, del viaggiare nel tempo- è di quelle che non possono che intrigare e che, nel suo essere indie fino al midollo, catturano l'attenzione, mettendo in scena pure i fratelli Duplass, produttori del tutto.
Ma lo sviluppo -del film, dell'esperimento- è meno convincente del previsto, con personaggi che non vengono approfonditi, con ruoli che finiscono per stancare, per esasperare pure, facendo di quell'indie fino al midollo, un indie che sa pure irritare.
Colpa -per quel che mi riguarda- di una certa antipatia che Alia Shawkat mi suscita a pelle (il suo Search Party ne è la prova), meno di una sempre naturale Laia Costa che continua la sua carriera a Hollywood, dopo l'altrettanto sperimentale e lascivo Newness.
Se il finale salva in parte l'operazione, l'amaro in bocca resta.
Quanto al titolo, ringraziamo la distribuzione di Netflix, perché i titolisti italiani potevano uscirsene con un quanto mai orribile Burro di Passera.

Voto: ☕☕/5


6 commenti:

  1. Dopo aver riso per dieci minuti abbondanti per la mancata traduzione italiana, brrr, scarto volentieri. Sembro superficiale e sessista se dico, inoltre, che trovo la coppia parecchio male assortita per avere un qualche appeal in quel senso? :-D

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    1. Io sembro altrettanto superficiale e piena di pregiudizi nel dire che la Shawkat mi fa antipatia come non mai, e i personaggi che si sceglie non aiutano. Scarta tranquillo, troppo indie anche per me, alla fine.

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  2. Visto alcuni titoli non proprio efficaci dell'ultimo periodo, tutto potrebbe essere, ormai non c'è più da stupirsi..

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    1. Per fortuna Netflix ha mantenuto l'originale, così solo gli americani che conoscono lo slang "porno" capiranno il riferimento ;)

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  3. Il titolo Burro di passera sarebbe degno di un post di Pensieri cannibali ahahah

    Anche per me il film parte da un'ottima idea, ma lo sviluppo non è proprio fenomenale. A non convincere me però è stato soprattutto il finale...

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    1. Finale decisamente frettoloso, con le due che con il cambio di casa non san più che fare. Peccato, perchè le basi per un bel girl meets girl come piacciono a noi c'erano.

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