Mondo Serial
Derisa, stroncata, criticata a Cannes.
Cancellata, boicottata e insultata sui social.
The Idol è stata la serie di cui sparlare nelle ultime settimane, e se anche la cattiva pubblicità è una buona pubblicità, HBO non dev'esserne stata molto contenta.
Ancor meno, con probabilità, Sam Levinson passato dall'essere il geniale, unico, immenso creatore di Euphoria, a essere tacciato di sessismo, misoginia e pornografia.
La verità, come sempre, sta nel mezzo.
Sta in una serie TV nata sotto una cattiva stella.
Una serie che vuole esplorare quel mondo marcio e malato che è l'industria musicale e che quando si era a un passo dalla conclusione delle riprese sotto la guida di Amy Seimetz, Sam Levinson e Abel Tesfaye in arte The Weeknd, hanno deciso di prendere in mano le redini del tutto, cambiando sceneggiatura, rigirando alcune scene, modificando -sembra- anche il messaggio.
Il risultato è infatti piuttosto disequilibrato, ma non così malvagio come si legge in giro.
Certo, Lily-Rose Depp si vede più svestita che vestita, le scene di sesso molto esplicito abbondano senza per questo sembrare sempre necessarie, ma raccontano comunque una dipendenza, una relazione insana che sta nascendo.
Certo, The Weeknd stesso non si capisce se ci è o ci fa, se si cala così bene nella parte di un viscido aspirante produttore musicale (che è in realtà un magnaccia violento) da sembrare ridicolo come un simile personaggio deve sembrare, o se non sa semplicemente recitare, solo abbaiare. Il codino c'è l'ha, pure.
Per fortuna, a brillare è lei.
Una Lily-Rose Depp abbastanza idolesca, nonostante Jocelyn sia il nome meno adatto a una popstar e la sua musica non mi entusiasmi tra sospiri e atmosfere languide.
Ma la storia? La storia sembra girare a vuoto ma c'è pure quella.
È una storia di rinascita e di sfruttamento, di genialità e di controllo, di anime in pena che cercano qualcuno da ascoltare o la giusta ispirazione alienandosi dal mondo.
Siamo sempre -o quasi, ma sulla parentesi a Valentino sorvolerei- dentro la villa di Jocelyn, che diventa un set fotografico, uno studio di registrazione, un rifugio per talenti da scoprire e sfruttare, la sede di una setta.
Attorno a lei ruotano figure che dovrebbero sostenerla nello sfruttarla, nell'aiutarla a rilanciare la sua carriera dopo la morte della madre, la cancellazione di un tour costato milioni, la ricerca di un singolo d'uscita capace di renderle giustizia e soprattutto di un equilibrio.
Ruotano produttori paterni ma sinistri, produttrici che capiscono tutto con uno sguardo, direttori artistici dall'ego ferito, amiche che si reinventano assistenti senza avere la spina dorsale per il lavoro.
Ad interpretarli, e a rubare la scena ai protagonisti, Hank Azaria, Da'Vine Joy Randolph, Troye Sivan e Rachel Sennott.
In tutto questo, Sam Levinson fa il Sam Levinson.
Rende tutto più bello, dietro la grana della pellicola registra amplessi e balletti, canzoni e riunioni con il suo montaggio volutamente confuso, la sua attenzione per i dettagli che spesso, molto spesso, corrispondono al corpo minuto di Lily-Rose Depp. Che dimostra però di saperle reggere certe scene, di saper reggere la situazione e di essere un'attrice dotata di talento, se glielo permettono.
Poi c'è la musica, che passa e non resta, che fa da colonna sonora sembrando spesso sempre uguale. Produttori che gridano al capolavoro, ma onestamente si è distanti dal mio genere, da quello che può davvero restare.
A suo modo, con pazienza e con un ritmo spesso soporifero, con momenti profondi (vedi la difficile realizzazione di un video) e altri che potevano essere sforbiciati -Valentino, sì, parlo ancora di quelle scene.
Purtroppo, alla fine, si arriva al finale.
Un finale che rovina tutto: improvvisamente il sesso non c'è più, molti destini restano in sospeso, decisioni affrettate vengono prese, le settimane passano in un colpo d'occhio e il controllo cambia mani, per poi in soli 5 minuti, cambiare ancora tutto.
Uno sberleffo, una scelta che fatico a capire dovuta forse ai cambi di direzione di cui sopra e a HBO che sembra aver tolto la spina trasformando The Idol in una miniserie.
Anche se niente è stato dichiarato.
Le potenzialità, insomma, c'erano.
E ci sono anche temi, situazioni, momenti in cui tutto l'odio che l'internet ci ha riversato si fatica a capirlo.
Ma allo stesso tempo, si fatica ad affezionarsi ai personaggi, a seguire la storia, a trovarci un vero senso, in mezzo a momenti esteticamente alti. Molto alti.
Sarà che la vita degli idoli è così davvero: molto fumo, poca sostanza.
A volte, pochissima.
Voto: ☕☕½/5
Per me è importante il primo impatto. Negativo con reazione cambio canale.
RispondiEliminaHo resistito a volte a fatica, ma qualcosa di buono qua e là c'è stato.
EliminaMa sbaglio o ho intravisto anche quel gran patato di Eli Roth? La sua presenza potrebbe anche farmela recuperare...
RispondiEliminaC'è nei panni di un produttore dalle battute poco corrette, ma si vedrà un quarto d'ora al massimo, sommando il minutaggio del primo e l'ultimo episodio. Mal sfruttato anche lui insomma...
EliminaPoteva essere un cult, e purtroppo non lo è, ma come dici non è nemmeno del tutto da buttare. The Weeknd è ancora acerbo in campo televisivo/cinematografico, però può imparare dai suoi errori e fare di meglio in futuro. Se mai glielo permetteranno XD
RispondiEliminaChissà se la versione iniziale con un punto di vista più femminile ce la mostreranno mai... Un re-cut per salvarsi, che la HBO stavolta non è riuscita a fare breccia.
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