È stata un'apertura alla Mostra misteriosa.
De La Grazia si sapeva solo che era una storia d'amore, che il protagonista era il fido e feticcio Toni Servillo e c'era una sola immagine che lo ritraeva con cappello e di profilo, a presentarlo.
Di cosa parla, allora, questo La Grazia?
Di una storia d'amore, ovvio.
Una storia d'amore comune, o forse no, fra il Presidente della Repubblica De Santis che ha saputo gestire con eleganza 6 crisi di governo e si appresta a lasciare il suo incarico dopo 7 anni. Un amore non tanto per una politica da cui tenersi distante, è un giurista lui, un uomo di legge che basa le sue scelte non sul coraggio, ma sulla costituzione, ma un amore per la moglie che non c'è più, Aurora, che manca e che viene ricordata, che era l'estrosa della coppia, una ragazza che dava colore alla grigia vita di questo giudice.
Manca, Aurora, e a un passo dalla pensione, il Presidente è arrabbiato: con lei, che l'ha tradito e non gli ha mai voluto rivelare con chi, ma è arrabbiato anche con se stesso, nel capire quanto gli sta stretto il soprannome di Cemento Armato, a giustificare ancora una volta il suo non prendere posizioni su una legge discussa come quella sull'eutanasia e sulla grazia da concedere a due assassini. Entrambi, una moglie vittima di violenze e un marito che accudiva la compagna sofferente, si appellano a lui, al suo giudizio.
E noi osserviamo i suoi tormenti, i suoi dubbi, il suo tentennare e venire sfidato vuoi dalla figlia -giurista sempre al sua fianco-, vuoi dai consiglieri militari o statali, vuoi infine dalla spumeggiante amica Coco Valeri, critica d'arte e di opinioni accese.
È uno di quei mondi che solo Sorrentino sa tratteggiare, tra personaggi grotteschi e sopra le righe, intelligenti e puntuali, che s'interrogano sul mondo e su loro stessi.
Sono quei film in cui sa di poter contare su un Toni Servillo maschera perfetta, dai tempi comici e dalle espressioni precise, che fanno il personaggio, fido e feticcio, appunto.
Più delle riprese, a volte con la luce sbagliata ma che non toglie romanticismo alle scene, più di quei momenti sorrentiniani che davano magia a Parthenope, qui sono i dialoghi al centro, affettati, taglienti, intelligenti ed eleganti. Struggenti, pure, capaci in una sola telefonata di far commuovere.
È un Sorrentino più politico, in parte, perché De Santis ben si presta a essere un doppione dell'amato Sergio Mattarella, ma è anche un Sorrentino nostalgico e più d'interni, che riesce a unire l'amore per la musica classica a quella del rap di Guè Pequeño, che sì, firma una canzone trascinante e si presta a un cammeo.
Alla ricerca della Grazia, di un'emozione capace di far sparire la gravità, la si trova in un amore che non muore.
Quindi, chiedimelo: "ti è piaciuto l'ultimo Sorrentino?" Sì, ancora una volta, sì.
Nessun commento:
Posta un commento