Andiamo al Cinema
L'horror dell'anno
Una Demi Moore da Oscar
Il finale è un pugno allo stomaco
CA-PO-LA-VO-RO
Come Coralie Fargeat cerco di prendere non tanto l'estetica di Instagram, quanto la sua grammatica.
Che va di frasi ad effetto, va di etichette e di poche sfumature.
Ma con The Substance, si potrebbe anche non essere troppo distanti dalla verità.
Sembra di assistere a un curatissimo, perfetto Reel, di quelli montati dal miglior content creator in circolazione.
Ma ha senso scrivere di uno dei migliori film dell'anno, di una delle sceneggiature forse non troppo originali ma comunque tra le più intriganti, paragonandolo al mondo dei social?
La regista non è certo l'ultima arrivata e non è nemmeno una dell'ultima generazione che con questa estetica pulita, precisa, d'impatto, c'è cresciuta.
Ma l'ha sicuramente studiata per criticarla e per rendere il suo film ancora più accattivante.
La storia è presto detta: una cinquantenne, ex stella del cinema riciclatasi come personal trainer televisiva, si sente vecchia ed è troppo vecchia per il network per cui lavora e decide di provare una strana sostanza, uno strano esperimento, che porterà il suo corpo a sdoppiarsi, a far nascere -letteralmente, ma non dal solito orifizio- una nuova sé, più giovane e attraente.
Spaventata, arrabbiata, decisa e incredula, segue alla lettera le istruzioni per l'uso semplici e misteriose e quel che nasce è lei, anche se non è davvero lei.
Il sogno non può che diventare un incubo se di mezzo c'è la fama più che la fame, c'è il riscatto e c'è l'egoismo che non tiene conto di quella legge così difficile da accettare.
Si è davvero la stessa persona, se i due corpi sono così diversi?
Si può davvero dividere tutto, quando solo uno sembra avere tutto?
Siamo di fronte a una sceneggiatura horror con tanto di regole precise e che chiaramente verranno infrante.
Ci sono disclaimer espliciti, e funzionali.
C'è l'uso del colore, che diventa essenziale.
Giallo, rosa, petrolio, azzurro. Le sfumature non sono previste, solo blocchi di colori che si azzerano in un bagno asettico e bianco, gelido e inumano.
C'è la musica, ritmica e corporea, perfetta nel riportare in auge vecchie hit dance e dare l'atmosfera sinistra a questo pink noir.
C'è Demi Moore, ovviamente, in quella che è diventata la prova della sua carriera, o almeno, della seconda parte della sua carriera dopo che si era fatta da parte, dopo che qualche ritocchino l'aveva mantenuta comunque perfetta e che qui non si fa scrupoli a mostrarsi al suo peggio e al suo meglio.
C'è Margaret Qualley, sempre coraggiosa nelle scelte dei ruoli che va a scegliersi, che dopo un doppio Lanthimos ha rischiato grosso in una parte fuori dalla comfort zone, che la vede come una femme fatale.
E poi ci sono i trucchi.
Protesi e mostri, ore e ore di lavoro per girare almeno una piccola scena, sacrifici e pianti da parte delle star per usare meno effetti speciali in CGI e per dare al film quella grana di verità, quell'aurea di unicità e coraggio che manca alle grandi produzioni americane.
Qui siamo in Francia, anche se non sembra.
Siamo nella Costa Azzurra che diventa Los Angeles, siamo dentro a mesi e mesi di preparazione perché le fantasie visive di Fargeat possano prendere vita. La sceneggiatura lunga centinaia di pagine con pochissimi dialoghi ma molte immagini non a caso inizia con una stella e con la sua cauta, senza bisogno di tante spiegazioni.
La fotografia di Benjamin Kračun è essenziale per arrivare al risultato, lui che ha lavorato per Una donna promettente, riesce a scaldare il patinato, a essere incisivo in primissimi piani e a comporre inquadrature perfette tra colore e geometrie.
Dal parto, alla scorpacciata di scampi, dalle iniezioni alle coreografie sexy che hanno portato all'esaurimento Margaret Qualley, per finire con quel finale indimenticabile che tanto fa ribrezzo quanto fa sorridere soddisfatti allo schermo, c'è una visione d'insieme unica che rende omaggio e prende ispirazione dai grandi Maestri per farsi personale.
Capace di essere virale nel miglior modo possibile, con un'estetica fredda e compiaciuta, con la macchina sempre centrata e le scritte a prestarsi a girare sui social per dar voce a un film che sta già portando in sala anche ignari spettatori non pronti a bagni di sangue, escrescenze e corpi avvizziti.
Figurarsi a un finale che è già cult!
Dagli impossibili standard estetici -quelli che vedono la perfetta cinquantenne Demi come una megera da nascondere- alla gelosia femminile passando per una maternità ingestibile, The Substance tocca temi attuali e lo fa lasciando allo spettatore il tempo di rimuginarci su, senza alcun bisogno di spiegoni o scene esplicative.
Solo scene ad effetto
Mostra, non spiega.
Esibisce, non insegna.
In un'immediatezza che il cinema sembrava aver perso e che vede in questa velocità, data da un montaggio tagliente, una novità che in realtà non è. Ma che tanto mancava.
Già con Revenge, Fargeat aveva urlato il suo inno femminista e rilanciato il genere rape&revenge dell'horror complice anche la presenza magnetica di Matilda Lutz, qui grazie a Demi e Margaret dà nuovo lustro al body horror, genere che se ne sta sempre ai margini, quelli freak, riuscendo a conquistare anche me, che da Cronenberg sono stata scottata più volte.
Dopo Céline Sciamma, Julia Ducournau, Alice Diop e Justine Triet, con Coralie Fargeat conferma che le registi francesi hanno davvero una marcia in più e non hanno alcun timore ad accelerare.
Entusiasmante nella sua parabola prevedibile ma comunque sorprendente, di presa di pancia e di testa, The Substance è la sostanza di cui sono fatti i migliori incubi.
Voto: ☕☕☕☕/5
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