Andiamo al Cinema
Tocca iniziare sempre allo stesso modo: scusandomi con PTA e con i suoi estimatori di cui non riesco a fare parte.
Un regista di culto, un autore, da cui mi sono sempre sentita distante. Troppo di testa, più che di pancia, troppo di forma, più che di contenuto.
Le ricordo ancora le quasi 4 ore spese dietro a Magnolia e la voglia di rivolerle indietro, quelle ore e la sensazione che oggi, forse, potrei pensarla diversamente ma di rivedermele quelle rane piovere dal cielo non ho ancora trovato il coraggio.
Li inizio sempre così i post dedicati ai suoi film, che sono pochi, come si deve a un autore, che sono ricercati, come si deve a un autore di maniera.
Era riuscito a cambiare il mio sguardo appena tre anni fa, con quel Licorice Pizza così personale e così romantico -per quanto possa essere romantico un film di PTA- a scaldarmi il cuore.
Ci riesce di nuovo oggi, con il suo lavoro più costoso e anche più celebrato.
Ma non è stato facile, non è stata immediata la mia fascinazione.
Nei 160 densissimi minuti che compongono Una battaglia dopo l'altra, la prima parte è stata la più difficile in cui entrare.
Battaglie, una dopo l'altra, politiche e rivoluzionarie, scene di sesso imbarazzato e imbarazzante, una protagonista come Perfidia Beverly Hills difficile da amare come il suo nome… Mi chiedevo: tutto qui? È per questo che molti si stanno sperticando, che devo chiudere gli occhi appena entro in qualche social per paura di anticipazioni e spoiler?
Per fortuna, poi, il film prende piede.
E perde Perfidia, anche. Concentrandosi sul vero protagonista, il rivoluzionario che è diventato padre, il combattente dal cuore spezzato che lo ha riparato a suon di alcool e droga, perdendo così un filo il senso della realtà e anche la memoria.
È seguendo Leonardo DiCaprio educare quella figlia che lo crede uno svitato, che la manda in giro senza telefono ma con un apparecchio a onde corte, che gli fa imparare codici di riconoscimento, mentre lui passa da una bevuta all'altra, che il film mi conquista. Mi conquista Ghetto Pat, Rocket Man, o Bob Ferguson, nel suo dover rientrare in azione, stanato da quel militare ipocrita che è il Colonello Lockjaw, che deve fare piazza pulita sulle macchie del suo passato per riuscire ad entrare in una loggia segreta e bianchissima.
È così che si mette a ferro e fuoco Baktan Cross, cittadina santuario dove i giri di immigrazione, di droga permettono un facile posto in cui nascondersi, con il fido sensei Sergio St. Carlos a operare in modo efficiente e anonimo.
È da qui che Una Battaglia Dopo l'Altra diventa un film d'azione, sì, ma d'autore, e anche una black comedy e anche un film epico, non a caso wikipedia lo definisce "epic dark comedy" ed è probabilmente la definizione migliore.
Perché si ride, e parecchio, di fronte a un personaggio stropicciato come Ghetto Pat, in un costume lebowskiano che non mi stupirei spopolasse tra i cinefili fighetti la notte di Halloween. Si ammira con il sorriso stampato l'impegno di DiCaprio che sceglie bene i progetti, i registi, i personaggi, e qui pur con la memoria smemorata è in forma più che mai, è chiamato a correre fra i tetti, saltare e inseguire e scappare.
Ci si esalta per un'epica battaglia, una dopo l'altra, contro il potere e contro i militari, contro quella politica migratoria che dimentica le persone, e contro quel razzismo viscido e problematico. Fa specie trovare un personaggio ormai scomodo come Sean Penn interpretare lo scomodissimo Lockjaw, viscido a dir poco, che con i suoi tic, le sue movenze, le sue divise succinte lo rendono quanto mai detestabile.
E si sogghigna a denti stretti, ma comunque felici, per i morti ammazzati, per gli inseguimenti e le sparatorie, e le bombe e una comicità nera e sporca che non scende a patti con il pubblico, il pubblico lo dimentica, va per la sua strada, senza bisogno di prenderlo per mano.
È forse questo l'aspetto che più ho apprezzato di PTA, sceneggiatore, bastano gli sguardi di attori capaci, basta una scena, un'inquadratura, per far capire, senza bisogno di una sceneggiatura letterale e infarcita di inutili spiegazioni.
Anzi, vince la musica.
La colonna sonora prende il sopravvento e copre quasi interamente il film, tanto da rendere più significativi i momenti in cui entra il silenzio. Brani d'epoca trascinanti, composizioni ad hoc del fido Jonny Greenwood e la sensazione che è davvero la musica a far entrare nel film, senza un'ambientazione storica precisa ma comunque non troppo lontana dall'oggi, pur sporcandosi di quei rivoluzionari anni '70 che gli stessi French 75 inneggiano.
E poi, ovviamente, c'è la regia.
Ancora una volta Paul Thomas Anderson ha deciso di girare in pellicola 35mm, in Panavision e anche se la sala in cui l'ho visto aveva lo schermo grande e l'impianto migliore, so che poteva essere diverso a, che so, Venezia. Resta il dubbio su come e perché un titolo così non sia entrato nel programma, immagino per scelta del regista o per la Warner a privilegiare altri titoli, chissà. So solo che in Sala Darsena la visione sarebbe stata una gioia per gli occhi e per la condivisione, con un pubblico più propenso alle risate, agli applausi, nei momenti giusti.
Devo ancora decidere se ho preferito quella corsa sui tetti, quella fuga all'ospedale o infine, lo splendido inseguimento su una strada di colline che è un film a parte.
Anzi, a scriverne così direi che ho già deciso.
Perché è un finale ad alto tasso di adrenalina, epico e comico, nero.
Fa specie che a reggerlo non sia solamente DiCaprio dentro un'auto scassata, un DiCaprio che finalmente si scusa con PTA per aver preferito Titanic al suo Boogie Nights, anche se non è facile capire se la sua sia stata una mossa di carriera sbagliata. Dicevo, a reggerlo c'è anche la figlia Chase Infiniti alla sua prima esperienza su grande schermo dopo essere passata nel piccolo.
Regge il confronto, con Leo, con Regina Hall, con Sean Penn. Ed è tutto dire.
Quanto a Benicio del Toro, gigione come sempre, ottimo come sempre, è la spalla perfetta per Ghetto Pat che dà vita a un buddy movie a parte per come lo spinge e lo trascina e lo salva, salvando allo stesso tempo la sua, di battaglia.
Adattando a modo suo, di nuovo, Pynchon, PTA si fa quasi coeniano ora che i Coen si sono divisi prendendo strade meno epiche.
Corse e fughe, vite spezzate e morti violente e spesso giuste, inseguimenti al cardiopalma e buffi contrattempi, con dentro la politica prima ancora che la politica lo rendesse così attuale.
Denso ma non pesante, esaltante nelle tappe, negli scontri, nelle battaglie una dopo l'altra a cui chiede di assistere, Paul Thomas Anderson ce l'ha fatta a conquistare il mio cuore, oltre che la mia testa.
Viva la Revolución!
Voto: ☕☕☕☕/5
Ha conquistato anche me, che non avevo apprezzato né Licorice Pizza né Vizio di forma, pur amando PTAnderson. E soprattutto ha conquistato il Bolluomo, che non si è addormentato!!!
RispondiEliminaPotrebbe essere il miglior film dell'anno, per fortuna l orivedrò a breve. Cheers!
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