3 dicembre 2017

La Domenica Scrivo - Arte (di Biennali, di film e di quello che è davvero bello)

Ci si chiedeva nel film The Square cosa fosse arte oggi.
Cosa rendesse tale un qualunque oggetto.
L'esempio, del direttore artistico del museo di arte contemporanea di Stoccolma, era semplice: se adesso, ora, la tua borsa, quella che usi tutti i giorni, che contiene le tue cose più intime e banali, venisse messa su un piedistallo in mezzo alle altre opere, basterebbe questo -la sua nuova posizione- a renderla arte?
La domanda non ha una risposta esatta.
Si è già visto, e ancora si ride, di fronte a notizie che vedono carrelli delle pulizie, scope, guanti dimenticati, essere fotografati e immortalati e giudicati da visitatori ignari di non star guardando un'altra opera del museo, ma un semplice oggetto, lì dimenticato, lì momentaneamente posizionato o caduto.



Insomma, sembra davvero che a fare arte, a volte, sia lo spazio stesso, il luogo che l'arte la ospita a la rende tale, e la definizione è ancor più giusta se si pensa a semplici segni, disegnati su un foglio, che no, in un museo non stanno ma sono identici a quel dipinto che vale milioni.
Il punto sembrerebbe poi essere l'intenzione dell'artista, il suo percorso come artista e il suo essere riconosciuto come tale, da esperti, da critici, da amici e sovvenzionatori.
Per dire, in quella città in cui sono sono cresciuta e in cui non sono tornato a vivere, vive un artista, ma che per me resta un pasticciere molto più dotato dietro ai fornelli, che con le mani però impasta anche peni, vagine, crea scalpore -inutile- con opere create perlopiù per creare scalpore, ma che dalla cittadina di cui sopra no, non si è mosso.
Tutto questo preambolo per dire che sono stata alla Biennale.

Che mi sono aggirata con fare critico per padiglioni e per corridoi dove l'arte stava di casa, ma il buongusto no.
Ché sì, di arte ne capisco poco, della sua situazione attuale anche meno, le intenzioni dell'artista e molto, molto spesso, nemmeno l'artista conosco.
Ma quando si tratta di arte contemporanea, vado come spesso per i film, a sentimento.
Mi piace la banalità di un lago ricreato,  con onde proiettate su un grande schermo sullo sfondo, e cigni di luce, natalizi quasi, che si stagliano: banalissimo, ma romantico e emozionate.
Non mi piace la confusione si una stanza ricreata, di scampoli di tessuti, di foto, di giornali, di ogni cosa, ché niente, nemmeno un sentimento, forse solo la noia, mi comunicano.
Mi piace l'ironia di tavole nere incise che mostrano un mondo invaso da alieni, o in cui ancora vivono i dinosauri, ma non mi piace una stanza vuota, con qualche oggetto, compreso un camper, in cui l'artista mi dice cosa fare e mi rende parte della sua opera. Il primo mi diverte, il secondo mi sembra forzato, eccessivamente.
Sono quindi dell'opinione che l'arte contemporanea sopra ogni altra arte, sia un'arte soggettiva.
Più di un film, che ha canoni estetici definiti a renderlo perlomeno ben fatto, arte può essere anche un cumulo di cotone sporco, della muffa che si crea, può essere pure un video, dagli intenti geniali, che riportano la neve alla Scimmie delle nevi del Texas che la neve non la vedono da centinaia di anni.

Aggirandomi per padiglioni e corridoi pieni d'arte, scegliendo un metodo di visione veloce e sbrigativo, soffermandomi cioè solo su quello che realmente ritenevo meritevole, e quindi emotivamente segnante, una cosa non ho potuto fare a meno di notare.
Lì, a Venezia, in un'altra città in cui avrei voluto vivere, in cui avrei voluto fermarmi più che nei soli 3 anni universitari, lì, dicevo, circondata da arte, a colpirmi, era Venezia stessa.
Erano i suoi spazi, quei Giardini con le palazzine costruite ad Hoc, quell'Arsenale imponente, con giardini suoi dove la natura aveva preso il sopravvento, con l'autunno a renderla più bella, e più emozionante, nonostante il freddo non agevolasse una visita che da almeno 10 mi riprometto -assieme all'amico più fidato- di fare d'estate, ritrovandoci invece a posticipare, tergiversare, rimandare fino all'ultima settima di apertura della Biennale.
Quei Giardini, quella natura, quegli alberi e e quegli spazi verdi, ecco, in loro vedo l'espressione più artistica ed emozionante che non in un'intera installazione di Cristi di legno.
La natura, insomma, è per me la miglior Artista.
E se nel passato gli artisti ritenevano arte il saperla riprodurre, pur attraverso i loro occhi, oggi che l'arte è concettuale, necessita di spiegazioni  e non solo di emozioni, penso che  qualcosa lungo il percorso si sia perso. Io, di mio, continuo a preferire un albero, d'autunno, con le foglie appese ancora per poco, a stanze colme di sabbia senza un motivo.

4 commenti:

  1. La Biennale è un'altra tappa che sogno, ma mi terrò lontano da The Square e, un po' come te, ammetto di essere scettico da un'arte che arte a volte non è. Sarà che per i miei studi sono più noioso e conservatore, su certe cose. Sarà che posso capire in teoria il pensiero dietro la provocazione, dietro l'installazione, ma la pratica poi mi frega: sto lì, e dico boh?
    Venezia in sé, insomma, è un sogno più grande ancora. :)

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    1. Venezia è un'opera d'arte migliore di tutte quelle che può ospitare nelle sue Biennali, in quanto all'arte, meglio quella del passato, un quadro, una fotografia, rispetto a cumuli di terra o di cotone. Che dici: "ok, e quindi?". Sono per un'arte senza concetti.

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  2. A Venezia seguirei volentieri la mostra del cinema, della Biennale invece posso anche continuare a fare a meno...
    Però potrebbe essere un'esperienza interessante, e anche molto divertente, per uno che di arte contemporanea non ne capisce nulla come me. :)

    Io comunque mi sa che sono più da cose "finte" che non da Giardini...

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    1. Alla Mostra del Cinema io continuo ad aspettarti, quanto alla Biennale, è un'esperienza che va fatta, se non altro perchè in mezzo all'indignazione e allo stupore, ci si diverte.

      Quanto alle cose finte, io sono come Monet che ritiene il giardino della sua casa il suo miglior lavoro :)

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