16 aprile 2020

The Case Against Adnan Syed

Settimana Crime

Serial è stato il primo podcast che ho ascoltato nella mia vita.
E probabilmente è stato così per molti.
Un podcast crime, che ha visto i numeri degli ascoltatori crescere di giorno in giorno, di settimana in settimana. Ha visto persone finalmente venire a conoscenza del mondo dei podcast e i podcast di per sé esplodere, segnando un nuovo modo (seppur vecchio) di informare e intrattenere.
Serial non faceva altro che scavare in un vecchio caso di omicidio, risolto, ma con il colpevole che continua a dichiararsi innocente.
Adnan Syed, in carcere da quasi 15 anni, accusato di aver ucciso l'ex fidanzata, Hae Min Lee.
Il tutto alla fine degli anni '90, nella caotica, sanguinolenta, Baltimora.



Sarah Koenig ricostruisce i fatti, intervista testimoni e persone coinvolte, rovista nelle carte processuali e alla fine non risolve il caso, ma solleva davvero tanti, troppi dubbi per non credere a Adnan.
Il successo è immediato e come sempre succede, gli ascoltatori diventano nuovi detective, formulano teorie, le condividono nell'internet.
Che qualcuno si interessasse per farne un documentario era quindi ovvio: finalmente dare un volto a quelle voci, finalmente vedere quei luoghi, quella scuola.
Ci ha pensato con qualche anno di ritardo nientemeno che HBO, andando sì a ricostruire i fatti raccontati da Sarah Koenig in Serial, ma approfondendoli e soprattutto aggiornandoli all'oggi (di fatto, il 2019) con le nuove indagini in corso di detective privati, i nuovi appelli portati avanti da Adnan e i suoi avvocati.


La domanda è lecita:
Per chi alla storia si è affezionato, meglio, ci si è perso dentro... questa nuova versione funziona?
La risposta: sì.
Funziona soprattutto per come si è deciso di dare un volto a queste voci.
Lasciando il passato a fotografie di feste e balli studenteschi, mostrando un presente fra le mura domestiche, coinvolgendo quella madre che non si è mai arresa, quel padre che la prigione la sconta ogni giorno pure lui.
E la vittima?
Quella che solitamente nei casi di ricostruzione dei fatti resta in disparte, non trova posto?
Hae Min Lee qui rivive.
Rivive attraverso le sue stesse parole, quelle di un diario che si fan prova di un amore adolescenziale e tormentato, di paure e sogni comuni ad ogni adolescente. Queste parole prendono forma, si animano in disegni toccanti e bellissimi.
Anche se la sua famiglia -giustamente- decide di non partecipare al documentario.


I fatti del 1999 vengono setacciati non lasciando nessuna pista intentata, perché se c'è un modo per rendere giustizia a quella vittima è trovare il vero colpevole e che le indagini si siano arrestate troppo in fretta su Adnan è ormai consolidato.
Aggiungendo nuovi elementi per sostenerlo e per minare ancor di più la credibilità della giustizia americana.
Ancora una volta, purtroppo, il caso non si risolve.
I sospetti sono cresciuti e l'unica colpa che si può imputare a questo documentario è di essersi fermato troppo presto.
Senza le analisi che ci doveva.
Senza le sentenze che si leggono sui titoli di coda e fanno così ancora più male.
Un seguito, allora, è auspicabile.
Più che in TV, nelle aule di un tribunale.
Per il momento, l'HBO va ringraziata per il lavoro fatto, per aver rinfrescato la memoria e aver contribuito a far conoscere la storia di Hae Min Lee e di Adnan.

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