28 maggio 2020

Hector e la ricerca della felicità

È già Ieri -2014-

Hector è uno psicanalista triste.
Arriva a non sopportare i suoi lamentosi pazienti, a vedere delle crepe nella sua relazione scandita e fin troppo perfetta con Clara.
E così, su due piedi, decide di lasciare Londra e di imbarcarsi in un viaggio alla ricerca della felicità.
Metodico e viaggiatore alle prime armi, fa della Cina la sua prima tappa, passando dal lusso più sfrenato ai monaci d'alta quota, cercando risposte, consigli, annottando tutto nel suo diario di bordo che si riempie di disegnini e disegnetti.
Sono i soldi a rendere felici?
Sono le bugie?
È la preghiera?
Risposta, ancora, non c'è.
La seconda tappa lo porta così in Africa, da quell'amico dell'università che ha trovato un senso alla sua vita aiutando gli altri.
Qui, immancabili, nuove disavventure, fra rapimenti e minacce di boss locali, e una famiglia numerosissima che accoglie per cena.
L'ultima tappa è quella più importante, quella che in realtà ha spinto Hector alla sua ricerca e a giustificare le tappe precedenti: Los Angeles, a ritrovare l'amore di gioventù più visto, più sentito.



Già solo da questo elenco si capisce cosa non va in Hector e la ricerca della felicità: pieno zeppo di cliché in base al Paese che lo ospita (Londra compresa), confuso nel suo voler raccontare anche troppo.
Perché questa ricerca ha una premessa tanto veloce quanto poco chiara e uno sviluppo in cui si eccede in avventure più che in storie che val la pena sentire.
Il finale ricorda ancora una volta come tutto parta da una foto trovata dopo anni in un cassetto, e come tutto poteva essere portato avanti partendo semplicemente da lì.
Approfondirla, così, lasciando da parte quelle tappe zuccherose, inverosimili, di troppo.


Si giocano poi così tante carte e così tanti stili da dare il mal di testa, tra animazioni che prendono vita, sogni ricorrenti in cui Hector si vede come un piccolo Tintin accompagnato dal cane Milù, scene che sembrano più gag estemporanee che parte di un film.
La commedia disincantata a cui si fa riferimento e a cui si vorrebbe arrivare, resta ben lontana dal dirsi raggiunta.
Prova ne è una relazione descritta come infelice e per cui non si fa certo il tifo.
Simon Pegg con la sua mimica da macchietta non salva il film, in cui i comprimari di un certo calibro (Stellan Skarsgård, Rosamund Pike, Toni Collette, Christopher Plummer, Jean Reno) compaiono e scompaiono.
Il finale, che una risposta su cosa sia la felicità prova a darla, sembra quasi imitare Inside Out, ma il risultato è molto meno magico, molto meno soddisfacente.

Voto: ☕/5


6 commenti:

  1. A Simon voglio tanto bene, ma lontano dalla Trilogia del cornetto non ne azzecca una!

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    1. Questo è forse il primo film in cui lo becco protagonista, e davvero si fatica a sopportare il suo personaggio. Ma è la storia di per sé che è mal gestita.
      Altro recupero da quarantena che potevo evitarmi.

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  2. Concordo che pure io ho visto Simon al suo meglio solo sotto la direzione di Wright.
    Se poi pure tu dici che il film non è granché... lo dribblerò abilmente.

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    1. Dribbalo pure, io ce l'avevo scritto in agenda da anni e anni e ho colto l'occasione della quarantena per rimediare. Ma la leggerezza che prometteva finisce per essere fin troppo esile.

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  3. La Trilogia del Cornetto! Che figata! Invece questo film non mi attira minimamente, leggendo tra l'altro mi è venuto un po' in mente anche I Sogni Segreti di Walter Mitty, ma forse è solo una sensazione mia.

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    1. Vero, non ci avevo pensato ma lo ricorda. È che pure con Walter ho avuto delle difficoltà, che i film a tappe non sempre gestiscono bene i loro tempi... e li dimentico in fretta :)

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