3 settembre 2024

Venezia 81 - The Room Next Door

Diciamolo tranquillamente, Pedro Almodovar non è più lo stesso da un po'.
Come Tim Burton, è preso più dai set che dalle storie che deve raccontare, è un arredatore d'interni più che uno sceneggiatore e lo dimostra anche nel suo primo film americano dove i colori, le case, gli appartamenti con i loro quadri e i loro piatti e i loro divano, sono quasi il punto focale di The room next door.


Richiamano l'arte americana, certo, la luce di Hopper e chissà quanti altri, in una cura estetica che non gli si può certo dire mancante.
Fortuna allora che ci sono due attrici come Tilda Swinton e soprattutto Julianne Moore a riuscire a dare spessore a una trama che gira spesso su se stessa, fatta di dialoghi e riflessioni che si ripetono uguali e che difficilmente avrebbero questi toni nel mondo reale.
Giornalista di guerra una e scrittrice l'altra, sono due amiche che non si rivedono da tempo e che si ritrovano a causa della malattia terminale e incurabile della prima. Riallacciano i nodi, ripercorrono la vita intera per poi stringere un patto, passare un'ultima vacanza insieme, in una casa da sogno in mezzo al nulla, dove morire grazie a una pillola reperita sul dark web. 
Macabro? No. 
Illegale? Sì. 
E anche una situazione che si fa tesa se la morte non è la migliore delle compagnie, se il piano per sfuggire alla polizia si ripete fino alla nausea. Almodovar ci mette dell'umorismo volontario o involontario, con momenti che sembrano da soap opera, richiami all'arte altrui che sono ben sottolineati e rimarcati con toni in disequilibrio che non si sa come prendere.

La differenza, più che Swinton morente, la dà Moore, che infonde umanità e malinconia nello sguardo interrotto di chi è chiamato ad assistere senza rimostranze, ad affrontare anche una sua paura.
In un finale quasi Hitchcockiano, il film acquista un suo spessore, evitando ulteriori scivoloni che su suolo americano un europeo cade più forte.

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