25 ottobre 2024

All We Imagine as Light

Andiamo al Cinema

Come lo vendi al pubblico italiano un film indiano passato per Cannes, dove ha portato a casa il Grand Prix Speciale della Giuria?
Semplice, aggiungendoci un sottotitolo, al poetico All We Imagine as Light fai seguire Amore a Mumbai, come si trattasse di una commedia romantica, di equivoci amorosi, che si svolgono nell'affollata città indiana.
Peccato che, come c'era da aspettarsi, qui si parla di altro.


Si parla di Mumbai, certo.
Di una città che cresce in fretta, che fagocita chi ci si trasferisce con i suoi sogni, e si ritrova invece a condividere stanze e appartamenti minuscoli con i colleghi, o a vederselo vendere quell'appartamento i cui si è abitato per una vita perché devono essere costruiti nuovi, altri, lussuosi palazzi.
E si parla di amore, certo, in varie forme, tante quante le protagoniste del film.
C'è Prabha, che è stata sposata ma il cui marito è sparito chissà dove in Germania a cercare fortuna. Di lui non ha più sentito nulla, e all'improvviso, senza spiegazioni o senza biglietti, le spedisce un cuociriso riportando a galla ferite e umiliazioni che nemmeno la corte di un dottore, in quello che è un amore impossibile, può sanare.
C'è Anu, giovane e moderna, che vive alla giornata e che soprattutto ama Shiz, che però è mussulmano, che però non andrebbe bene alla sua famiglia che cerca di organizzarle un matrimonio spedendo foto di applicanti al ruolo, che però deve sottostare alle difficoltà di un amore clandestino e giudicato anche dalle amiche e dalle colleghe.
E infine, c'è Parvaty che il marito lo ha perso e con lui sta perdendo anche la casa in cui sempre hanno vissuto, nessuna carta attesta la proprietà a lei, nessun avvocato può difenderla.


C'è Mumbai, di nuovo, caotica e sempre di corsa, che si lascia indietro i suoi abitanti, quelli più ai margini, quelli più poveri anche se sono infermiere che si prendono cura di donne che altri figli non li vogliono, di gatte che dei cuccioli li stanno per avere.
E c'è un'altra India, appena si esce da Mumbai, dove la luce arriva improvvisa, il mare, il sole, la natura.
Un altro mondo.
Altri tempi, che sembrano rimasti indietro pur nella loro purezza.
C'è il mare, c'è il pesce, c'è la condivisione, ma manca un ospedale manca.
Ci sono invece i fantasmi che dal passato riescono a stanare e dove il confronto, fra queste donne e le loro scelte, diventa inevitabile. E poetico.


Salutato dai critici come un racconto rivoluzionario, All We Imagine as Light non lo è.
Ed è un bene.
Payal Kapadiya racconta le donne, racconta la loro quotidianità, le loro scelte, con una naturalezza e con una semplicità che disarma.
Non c'è pesantezza, non c'è giudizio, mentre le voci di altre donne scorrono sullo sfondo ad ampliarlo questo racconto, a farci immaginare tutti i colori di questa luce, tutte le sfaccettature di un'India, ma anche di un mondo intero, su cui posare lo sguardo.
Facile entrarci, difficile da scrollarlo di dosso, mi ha fatto ripensare a Ladies Only, altro titolo da Festival -era la Berlinale in questo caso- che visto un po' per caso, nel suo farmi ascoltare le pendolari indiane e la loro idea idea di mondo, non ho più dimenticato.
Ritorno in India, ritorno alle sue donne e alle loro storie che finalmente trovano spazio anche nella nostra programmazione.

Voto: ☕☕/5

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