Netflix si è trasformata da piattaforma all'avanguardia che concedeva spazio e libertà agli Autori, alla piattaforma generalista, che dà in pasto ai suoi abbonati serie, miniserie, filmini e filmacci dal basso valore artistico e che iniziano a somigliarsi sempre di più.
Colpa del fantomatico algoritmo?
Di un pubblico sempre più affamato a cui bastano pochi e semplici elementi per restare?
Sembra.
Anche se qualche eccezione ogni tanto sbuca, qualche Autore ancora resiste, Netflix deve pur far cassa e sfrutta le mode del momento fra true crime, omicidi, amanti, detective in erba per avere del facile intrattenimento un venerdì dopo l'altro.
"Diamogli il lusso, il vizio, la ricchezza", sembrano dire per tenerci buoni.
Sempre più scettica su un abbonamento che condivido ma sfrutto poco, trovo in questi ritratti di famiglia mostruosi gli esempi del mio risentire raccontati nel format leonesco di Cassidy:
Monster - The Lyle and Eric Menendez Story
Il Cattivo
Tra i tanti mali fatti da Netflix alla società (usiamo i paroloni quest'oggi) c'è quello di aver calcato e imperniato il suo catalogo di titoli true crime. Di aver reso appassionanti i crimini sanguinolenti, di aver dato luce a storie anche recenti e di aver reso tutti dei detective in erba.
C'erano già prima, nella TV generalista, questi fenomeni, ma con Netflix sono esplosi.
Appassionata al genere lo ero anch'io, consapevole che certe storie sapevano far male e non facevano bene, restringevo le mie visioni a una settimana l'anno, e ora che questi prodotti sbucano da ogni dove -podcast compresi- sono diventata molto più diffidente.
Tengo Stefano Nazzi, le sue Indagini mi bastano per come evidenzia il clamore mediatico di ogni caso, e per come si mette alla berlina il clamore mediatico di un caso.
Ryan Murphy, invece, continua a cavalcarla quest'onda e forte del successo di Dahmer, trova nei fratelli Menendez i nuovi mostri da sfruttare.
Se con Evan Peters si mostrava lo sporco, l'impunibilità e pure il razzismo che aveva permesso a Dahmer di andare avanti ad uccidere, qui i due mostri che per primi hanno partecipato al circo mediatico dei processi in TV, arrivando a fare un cross-over con O.J. Simpson sembrano i protagonisti perfetti per la società consumistica di oggi.
Altro che anni '80!
Del delitto in sé, ci importa poco, ci importa come questi mostri vengono raccontati e di come il racconto si sviluppa, lasciando spazio a teorie omoerotiche e incestuose, a opinioni da giornalista ferito e difese d'avvocato non troppo deontologiche.
La vecchia volpe di Ryan Murphy conosce i suoi polli, conosce il suo pubblico e dà a Netflix quello che si vuole ai giorni nostri: il lusso, il vizio, la ricchezza. E poi la gogna per chi un'eredità incerta ha già iniziato a spenderla con le mani sporche di sangue.
Insomma, si va di cliché, si va di infanzia negata e patto omicida, di linee sottili e verità che chissà se sono vere.
Esagerando nel dare una versione al limite del pornografico del dolore e degli abusi.
Con annesse polemiche pubblicitarie.
Il racconto procede andando avanti e indietro, con episodi flashback a rendere le vittime dei carnefici e i carnefici delle vittime, incagliandosi in quei processi ad effetto che gli stessi imputati disconoscono.
Tutto da buttare, mentre si dà in pasto agli squali quello che vogliono?
No, perché Murphy sa giocare bene le sue carte, nasconde piuttosto bene il suo gioco, regala un episodio in atto unico dove la bravura di Cooper Koch è innegabile, dove le parole contano molto più delle scenette, dei sogni ad occhi aperti e delle fantasie inserite per far parlare di sé.
Che se Koch è il meno machiettistico di tutto il cast (fra l'urlante Javier Bardem, l'alcolizzata Chloe Sevigny e l'isterica Leslie Abramson) va riconosciuto a scapito del fratello Nicholas Alexander Chavez relegato a un ruolo esagerato e per questo criticato dai diretti interessati.
Poi c'è la musica nostalgica, ci sono i marchi e c'è la verità che resta sospesa, mentre è certa solo la condanna.
Ci si schiera di nuovo sui fronti opposti, colpevolisti e innocentisti, tra chi invoca il colore della pelle come un privilegio e chi il genere maschile come un difetto, mentre la TV non fa nessun passo avanti elevando un crimine a intrattenimento.
Anche se ben confezionato, non so se è una scusante.
The Perfect Couple
Il Bruttarello
Si diceva, il lusso, il vizio, la ricchezza sono quello che il pubblico chiede?
E Netflix li accontenta con un altro omicidio d'alta classe su cui indagare, su altri detestabili protagonisti da odiare e su cui puntare il dito.
Niente di nuovo davvero in questa miniserie leggerissima che ha il solo pregio di non prendersi troppo sul serio, niente di nuovo per Nicole Kidman in TV, sposata all'ennesimo uomo che la tradisce la cui amante finisce morta ammazzata... da chi?
Tutti hanno un movente, pochi hanno un alibi.
E mentre si va avanti a mostrare paesaggi da sogno, case da sogno, abiti da sogno nella Nantucket dei privilegiati, il racconto procede come al suo solito di sospetto in sospetto, di colpo di scena finale in colpo di scena finale, contro un marito infedele, un figlio geloso, un'ex amante arrivista e i segreti che è meglio non confessare, o se proprio, farlo con un bello sfogo a uso di camera.
Il cast gioca con i ruoli grotteschi e se Eve Hewson sembra fuori posto in questa famiglia e in questa miniserie, per me brillano solo il gigione Liev Schreiber e la subdola Dakota Fanning, che su Netflix ha trovato casa.
Visione disimpegnata con cui davvero staccare il cervello e andare in modalità veloce, che anche per la presenza di Meghann Fahy fa pensare a The White Lotus, senza averne l'umorismo o la critica sociale.
Seppur, pure lì, il gioco era truccato.
Un guilty pleasure non troppo piacevole, con quella sigla da balletto di Tik Tok che ha fatto il suo dovere e mi ha reso un filo più insofferente del dovuto.
Sarà che ritornavo da Venezia dove i balletti c'erano in un film sì e nell'altro pure, per quanto ancora ne avremo?
Kaos
Il Buono
Partivo già con le aspettative basse, con i pregiudizi belli alti, e forse per questo ho trovato questa rilettura dei miti greci meno peggio del previsto.
Che diciamolo, anche qui si gioca facile con il lusso, il vizio, la ricchezza in un mondo moderno dove gli Dei dell'Olimpo possono stare fra noi e vivono di invidie e cali di consensi.
Ma Charlie Covell (già firma di The end of the f***ing world) non fa lo stesso errore dei produttori americani e ci mette del suo nel raccontare di Euridice e Orfeo, di Teseo e Arianna, di Zeus e Icaro e Prometeo e Era.
Lo fa nel lusso, certo, in case, ville e pure in un'aldilà che grondano di bellezza, lo fa raccontando di amori e tradimenti, di amanti e solitudine, ma lo fa giocando bene con scenari e con una rilettura moderna ma non apocrifa che ricorda gli esperimenti giocosi tipicamente inglesi di una Brontë o di uno Shakespeare.
Il mattatore Jeff Goldblum cattura la scena facendosi molto più odioso rispetto ai giovani comprimari dalla faccia poco conosciuta e per questo più affabili (Aurora Perrineau, Killian Scott, Misia Butler, Nabhaan Rizwan), in una Creta pronta alla rivolta e una Terra minacciata dall'ira di Zeus, il cui dominio sembra agli sgoccioli.
Gli ammiccamenti in camera di Prometeo, le musiche contemporanee, il bianco e nero poetico hanno rischiato di farmi arricciare il naso, ma l'esperimento sembra riuscito e sembra riuscire a stare fuori dall'algoritmo, o per lo meno, ad ascoltarlo con dignità.
Il successo porterà a una seconda stagione, dove si spera Covell terrà saldo il suo progetto, che chi se la ricorda la stagione 2 di James e Alyssa?
Voto: ☕☕½/5
Kaos super approvata.
RispondiEliminaCon Monsters procedo a rilento: ben fatta, ma non mi interessa particolarmente.
The Perfect Couple l'ho vista, purtroppo.
Per me parere decisamente mooolto più positivo per tutte e tre: The Perfect Couple spassosa nel suo non prendersi sul serio, Kaos kaotica ma ricca di spunti brillanti e Monsters mostruosamente inquietante e avvincente, almeno per i miei mostruosi gusti :)
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