23 ottobre 2024

Megalopolis

Andiamo al Cinema

Se ne parla da così tanto che non c'è stata critica a fermarmi.
Prima ancora che il film venisse fatto, prima ancora che entrasse in produzione, con un progetto mastodontico rimandato, abbellito, iniziato a girare e poi interrotto, rivisto e accantonato, ripreso in mano ancora una volta fino a quella buona, quella con i soldi di famiglia impegnati dopo aver venduta la vigna di famiglia, per farlo come si vuole questo film.
Se ne parla da così tanto che non c'è stata critica a fermarmi.
Anche dopo la presentazione a Cannes, dove i critici sono rimasti sbigottiti, senza parole o con fiumi di inchiostro pronti a pugnalare al cuore Francis Ford Coppola e il suo progetto. 
Il suo film.
Ma suo fin dall'inizio tanto da presentarlo con il suo nome lì, davanti al titolo.
È il Francis Ford Coppola's Megalopolis quello che sono andata a vedere in una sala mezza piena o mezza vuota, chissà dove sta la verità.
Una sala divisa fra aspettative alle stelle, una serata da riempire, le tante voci sentite su quel progetto che ha più di 40 anni ormai e che finalmente vedeva la luce.


Wikipedia mi è venuta in soccorso perché se Coppola è quello del Padrino, quello di Apocalypse Now, quello dell'unico Dracula a cui restare fedeli... dove lo avevo perso?
Quale ultimo film mi ero vista?
L'uomo della pioggia? O avevo solo letto il romanzo?
Jack? O lo confondo con Big?
Uscito dai radar dei grandi studi, era uscito anche dalle mie visioni, vivendo di luce riflessa di un passato lontano e di glorie mai più raggiunte.
E perso in realtà dentro questo progetto che sembrava impossibile.
Eccolo qui. 
Di nuovo.
Finalmente.
Anche se il film è un brutto film -e lo dico senza troppi giri di parole- perché perderselo?
Perché non vederselo comunque in una sala che riesce a dar sfoggio della megalomania di Francis?
Eccomi qui, quindi, a cercare di mettere ordine in quello che ho visto e in quello che ho letto perché è difficile scindere le due cose: il film dal progetto.
La visione di Francis dalla visione personale su grande schermo.


Come fai a volergli male, se ci si è impegnati così tanto, se ha creato e pensato e organizzato tutto a modo suo, tutto a spese sue, tanto da farne già un caso da studiare?
Una vigna venduta, un motel comprato e ora a disposizione di altre troupe cinematografiche, le prove che diventano il film, il cast che aiuta in fase di sceneggiatura, come fossero dei teatranti al camposcuola.
Il montaggio, lungo 8 mesi, dove queste prove vengono scelte e inserite, dove si forma un senso a una storia.
Perché se da un parte c'è tutto questo sforzo, raggruppando attori con opinioni politiche diverse (sì, Jon Voight continua a far sussultare), licenziando la troupe tecnica che un approccio così libertario non lo accetta, se Francis fa di testa sua, poi c'è il risultato che ha prodotto.
E più che confuso, è semplicemente non riuscito.
Sembra una parodia, nemmeno troppo divertente, del film che aveva in mente arrivata prima di quel film.
Sembra una commedia dove la recitazione è sopra le righe, dove le scene si alternano tra esagerazioni e tonfi, dove non si sta mai zitti e si corre veloci in una metaforona tutt'altro che sottile sull'America di oggi. Un Impero in rovina, la politica è corrotta, chiusa nei suoi interessi, e un idealista distrugge il vecchio ma non per questo riesce a creare la bellezza futura che aveva in mente.
Non ancora, almeno, non per i poveri, che come sempre se ne stanno a guardare dietro le barricate pronti a schierarsi con il primo che urla i loro interessi per avere il suo di tornaconto.
Tutto questo, prendendo a piene mani dall'Antica Roma personaggi e storie, miti e leggende, facendoli muovere come dei romani in una New York che sembra uscita dagli anni '20, decò e futuristi allo stesso tempo.


A tratti, sembra pure di stare dentro uno spot di un profumo qualunque diretto da Baz Luhrmann. 
E non è un complimento.
Perché lo sforzo scenografico tra molto LED screen e molto montaggio, dà una patina fin troppo luccicante a un film che si fatica a prendere sul serio. La colpa, io, l'addosso anche a Nathalie Emmanuel, protagonista bellissima -questo sì- ma che recita come in una diretta Instagram. Sarà che è stata scelta via Zoom, non so, o sarà che Coppola la usa per far capire al pubblico che reazione avere in mezzo alle tante battaglie che Catilina e Cicerone portano avanti a suon di dialoghi, a contendersi una città, il favore del popolo, l'acclamazione. In mezzo, il banchiere Crasso, presto soggiogato da una giornalista che si chiama Wow Platinum e ha il corpo di Aubrey Plaza, che nel ruolo sguazza come fosse dentro a uno sketch del Saturday Night Live.
E Adam Driver?
Lui e i suoi intensi primi piani?
Lui con il suo Catilina pieno i contraddizioni, di luci e ombre, che il tempo lo può fermare e lo vorrebbe pure accelerare?
Se la cava, niente da dire.
Il fatto è che gli anni di questo progetto li si sentono tutti.
Si sentono le metafore in una sceneggiatura che non va per il sottile, densa di dialoghi, di sfide, in cui le citazioni di grandi cantori e oratori si sprecano ad appesantire i 138 minuti di durata.
E si sentono ancor di più le ultime contaminazioni inserite, che sono omaggi, che sono citazioni (Hey, ma è Metropolis!, hey, come nello Studio 54!, hey, uno scandalo con l'IA!) fra un Shia LaBeouf che fa il verso a Trump e un finale d'assedio che è un passato recente e un futuro tristemente probabile.


Dopo qualche minuto dall'inizio del film viene da non crederci: è davvero tutto così? 
Così brutto -sì, brutto, ripeto? 
Avevano ragione i critici che lo hanno ghigliottinato fin da Cannes? E pensare che loro hanno goduto del momento assurdo di un attore che dal vivo interpellava Adam Driver su schermo.
Più si va avanti, più si resta ipnotizzati davanti a questo incidente che non si riesce a fermare, a questo guazzabuglio di dialoghi, di scene, di confronti, in un caos controllato ma non per questo ordinato.
Ogni tanto, qualche luce arriva, qualche attimo fragile di bellezza si fa spazio, ma è troppo poco.
Il messaggio, di un'arte al servizio del popolo, di un bello da portare avanti, di un benessere collettivo contro il potere dei singoli, è tanto banale quanto poco riuscito.
Non posso che pensare a The Brutalist, altro film monumentale, altro film su e di un sognatore, anzi, due. Con due ideali diversi, due ispirazioni diverse e che così diverso è da questo film con aspirazioni simili. Così vicini, sono agli antipodi.
Non sempre un film grande è anche un grande film.
Resta il progetto, resta il sogno -quello sì importante-, a cui attaccarsi per parlarne bene, almeno un po'.

Voto al Film: ☕☕/5
Voto al Progetto: ☕☕½/5

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